22 settembre, 2024

Il ‘Biennio Rosso’: alcune domande…

Cari amici e lettori miei,
riprendo la penna in mano, dopo alcuni mesi di assenza dovuta a differenti vicende e circostanze, non senza augurarmi che stiate tutti bene, voi e le vostre famiglie, e che quindi sani e salvi e incolumi abbiate vissuto questo ultimo travagliato periodo; questa primavera-estate ’24 che, invero, ne ha viste di tutti i colori: l’incredibile diventare realtà, l’impensabile diventare certezza, l’assurdo diventare di volta in volta ora possibile ora prevedibile.
Ma lasciamo tutto alle spalle comunque, anche se delle conseguenze, ripercussioni e contraccolpi di questi squilibrati e sfatti tempi ne pagheremo poi – come usa dire – il fio e lo scotto, specialmente i nostri discendenti.
Transeat dunque, ché altro mi preme.
E prima di lasciarvi, forse definitivamente, ve ne voglio parlare… anche se magari alcuni tra di voi si chiederanno come mai invece che della transizione energetica, dei mutamenti climatici, dell’intelligenza artificiale et similia, io qui, e ora, mi soffermerò su di un fatto, anzi un assassinio, quello dell’on. G. Matteotti, avvenuto esattamente un secolo fa: il 10 giugno del 1924.
E perché di tale accadimento ormai lontano nel tempo io ne voglio trattare, ripeto, qui e ora.
Sgombrando subito il campo, in ogni caso, anche del minimo dubbio rispetto al riconoscimento della tragicità, della iniquità e della scelleratezza di tale omicidio politico; di tale insensato delitto che, di primo acchito, come conseguenza sembrava minacciare la solidità e l’efficienza del governo Mussolini dell’epoca.
Quello stesso Mussolini che, poi, il 13 giugno 1924, alla Camera dei Deputati, con riferimento all’ormai accertato ritrovamento del corpo di Matteotti dichiarava: “…Se si tratta di deplorare, se si tratta di condannare, se si tratta di compiangere la vittima, se si tratta di procedere alla ricerca di tutti i colpevoli e di tutti i responsabili, siamo qui a ripetere che ciò sarà fatto tranquillamente e inesorabilmente. Ma se da questo episodio tristissimo si volesse trarre argomento non per una più vasta riconciliazione degli animi sulla base di un accettato e riconosciuto bisogno di concordia nazionale, ma si cercasse di inscenare una speculazione di ordine politico che dovrebbe investire il Governo, si sappia chiaramente che il Governo punta i piedi, che il Governo si difenderebbe a qualsiasi costo, che il Governo avendo la coscienza enormemente tranquilla ed essendo sicuro di aver già fatto il suo dovere e di farlo in seguito, adotterebbe i mezzi necessari per sventare questo gioco che, invece di condurre alla concordia gli animi degli italiani li agiterebbe con divisioni ancor più profonde.”
Con divisioni ancor più profonde.
Già, perché Mussolini presagiva che “il caso Matteotti” avrebbe rianimato e rinsanguato la svigorita e imbelle opposizione antifascista interna ed estera, che ad un anno e mezzo ormai dalla sua presa del potere si rivelava, appunto, impotente, incapace ed insipiente: e intuiva la necessità di risolvere presto il misfatto (cosa che avvenne con la rapida cattura del criminale Dumini e i suoi complici), affinché l’Italia non interrompesse il suo ormai inarrestabile percorso di consolidamento e prestigio tra quelle che erano le potenze europee del tempo.
Giacomo Matteotti
Ma chiudo qui il ‘caso’ Matteotti (sul quale sono stati versati fiumi, mari ed oceani di inchiostro), richiamato solo per denunciare il fatto che il medesimo sia considerato, da sempre, il paradigma, il termine di paragone per definire e qualificare la cosiddetta violenza fascista: la violenza squadrista.
Perché, signori miei, e tenetevi forte anche se la mia è ‘la scoperta dell’acqua calda’, la cosiddetta violenza fascista non fu altro che la reazione, l’opporsi e il legittimo contrastare la ben più organizzata e ramificata e soprattutto letale “violenza Rossa”, che in Italia (e tralasciamo altri contesti europei) venne bollata (o esaltata) con il famigerato marchio di Biennio Rosso (1919-1920).
Fu il Biennio Rosso infatti (che comunque infierì anche nel 1921), il periodo che seguì la conclusione vittoriosa, anche e soprattutto da parte italiana della Prima guerra mondiale, che registrò in Italia una situazione sovversiva e sediziosa che minacciava di portarla al collasso: fu in quel lasso di tempo che i governi cosiddetti liberal-democratici, privi di autorità, di polso e credibilità causarono e non contrastarono notevoli tensioni politiche e sociali.
Episodi di violenza legati a movimenti socialisti e anarcoidi (il Partito socialista unitario dell’epoca era egemone nel cosiddetto proletariato), ‘caratterizzavano e animavano’ le giornate di allora: con pagine di vergogna e di infamia, di fanatismo e bestialità - scritte con il sangue - si riassumeva la nuda cronologia delle gesta criminali del gregge socialista e delle bande anarchiche.
Cascinali e fienili incendiati, agguati, imboscate e sparatorie ovunque; processioni religiose impedite e disperse; carabinieri, soldati e soprattutto ufficiali in uniforme fatti oggetto di sputi e irrisioni quando non di revolverate e fucilate; saccheggi, devastazioni e distruzioni di negozi e proprietà private; persino bombe, gettate tra capannelli, riunioni e gruppi di presunti fascisti; interruzioni e danneggiamenti specie ferroviari; sequestri di dirigenti e tecnici industriali; insidie e appostamenti incombenti, ovunque… e nel mirino fascisti, clero, borghesia e padroni.
E morti, tantissimi morti, assassinati e trucidati il cui numero si fa ascendere a molte centinaia, forse migliaia, ma dei quali si sa poco o nulla poiché gli storici, cosiddetti, e i ricercatori, presunti, si tennero sempre alla larga da un ‘tema’ siffatto, anche e soprattutto in questi anni del XXI secolo.
Ecco, questo il catalogo: il campionario che offriva la premiata Ditta antifascista (sebbene il fascismo, allora, fosse solamente in fìeri) nel famigerato Biennio Rosso.
Poi, nel 1921, sarebbero arrivati i comunisti (socialisti dissidenti) a dar man forte, a far da truppe cammellate, abbeverate alla fonte di Lenin e dei ‘soviet’ russi, impegnati tutti a far sorgere ‘il sol dell’avvenire’ e a concretizzare ‘le magnifiche sorti e progressive’: a metterci il carico da 90 insomma.
Ma questa… questa è un’altra storia… sulla quale è già stato scritto qualcosa.
Quindi, cari amici e lettori miei, ecco perché a questo punto ritengo di aver assolto al mio dovere avendovi parlato del Bienno Rosso, del quale, forse, anche alcuni tra di voi ne ignorano la genesi , lo sviluppo e il suo ramificarsi, ché anche dopo il secolo trascorso esso è ancora vivo e vegeto e perpetuato nel tempo sino ai nostri giorni: i continuatori, gli eredi e gli epigoni del Biennio Rosso sono ancora qui, oggi, in grado di perpetuare pseudo verità, mistificazioni storiche, settarismi e faziosità e partigianerie di ogni sorta.
Sicché mi pongo la domanda.
Perché, appunto, mi chiedo e vi chiedo ma ancor più chiedo a tutti, ripeto, a tutti, perché la violenza è accostata al fascismo; la prepotenza è sinonimo di fascismo; i fascisti sono additati, perseguiti e criminalizzati come eversori, aggressivi e brutali per antonomasia!? Perché?
Perché?, mi chiedo e vi chiedo, anzi, chiedo a tutti.
Certo, il fascismo e i fascisti tra mille cose furono anche prevaricatori e sopraffattori, ma lo furono, ripeto mille volte, solo per ritorsione, per rivalsa, per opposizione.
La violenza fascista, comunque, paragonata a quella dei ‘rossi’, cioè dei socialisti, comunisti, anarchici e quant’altro ci fa la figura della educanda o del dilettante.
E allora: se, da ottant’anni in qua la toponomastica italiana enumera in circa quattromila le intitolazioni a Matteotti (vie, viali, piazze, giardini, parchi pubblici), se innumerevoli sono le istituzioni, le associazioni, i sodalizi, i monumenti a lui eretti e dedicati, ebbene, domando, qualcosa di simile, anche se solamente simbolico, non lo meritava pure Armando Casalini (1883-1924), deputato fascista (anche ipovedente), che, il 12 settembre 1924 venne assassinato sotto gli occhi della sua figlioletta, mentre erano su di un tram di Roma, da un criminale socialcomunista, tale Giovanni Corvi, che, così, tanto per gradire gli scaricò in testa ben tre revolverate?!
Del pari, cosa dire di Nicola Bonservizi (1890-1924), giovane fondatore del Fascio di Parigi che il 20 febbraio 1924 venne proditoriamente ucciso, in un ristorante parigino appunto, da tale Ernesto Bonomini, fuoriuscito cameriere anarchico e antifascista?!
Ecco, a questo punto un altro interrogativo si pone, ovvio, scontato, quasi imbarazzante ma che non troverà mai risposta onesta, accertata e quindi vera: perché, domando, a Matteotti ogni onore e gloria (per carità… nulla da dire…) sino al punto che, forse, tra non molto ce lo ritroveremo pure sugli Altari, mentre a Casalini e Bonservizi, uccisi come ‘cani rognosi’ dall’antifascismo seppure colpevoli di nulla se non di amor patrio, perché, ripeto, non un viottolo, un vicolo, tantomeno una piazzetta vengono a loro memoria concessi dai ‘democratici’ di oggi, rigorosamente antifascisti che più antifascisti non si può, da quelle ‘anime belle’ cioè che incarnano ogni civica virtù, da quei benpensanti oltre che politicamente corretti che ‘detengono’ il vero e il giusto? Perché non chiedete a costoro anche voi (di certo ne conoscerete una caterva), amici e lettori miei: fate una specie di indagine nella cerchia delle vostre parentele, amicizie e conoscenze ponendo le questioni sopra accennate, e poi, magari, mettetemi al corrente di qualche risposta, spiegazione o replica che sia: trepidante, interessato e pure sitibondo rimango in attesa!

Armando Casalini e Nicola Bonservizi


21 aprile, 2024

Prendiamo un bel respiro…

M° Agostino Donini
Cari amici e lettori miei,
lasciamoci tutto alle spalle, per un momento: dimentichiamo e tralasciamo, per breve tempo, tutto ciò che accade di qua e di là, di su e di giù in questi travagliati tempi, giorni nei quali succede di tutto e il suo contrario; giorni così confusi e controversi in cui la babele, lo smarrimento e persino lo sgomento sembrano farla da padroni.
Escludiamoci, volontariamente e consapevolmente, e respiriamo a pieni polmoni, se possibile.
Lo so - mi par di sentirvi dire - a prima vista sembra difficile data la massa insormontabile di situazioni, di imprevisti e avversità cui ogni giorno dobbiamo far fronte, tuttavia dobbiamo provarci, dobbiamo riuscirci.
Ne va della nostra salute, del nostro benessere e del nostro equilibrio fisiopsichico.
Sicché, solo per titoli e senza approfondire nulla poiché, ripeto, fa male alla nostra salute, sorvoliamo sulle chiusure delle scuole per la fine del Ramadam; sulle Università i cui studenti (?!) decidono chi è democratico e chi non lo è; su quel ‘singolare’ docente di filosofia, Christian Raimo tanto per non fare nomi, che ai suoi discenti dell’Università di Roma raccomanda (testuale) di picchiare i fascisti; glissiamo sul rettore dell’Università per stranieri di Siena, tale Tomaso Montanari, il quale attesta il diritto di tutti, di chiunque di poter parlare (e ci mancherebbe…), negandolo però ai fascisti; su quella docente della Sapienza di Roma, Donatella di Cesare, che appresa la ferale notizia della morte della brigatista e comunista rossa Balzarani si scioglie pubblicamente in lacrime mettendosi altresì in gramaglie; su quel filosofo e filologo, tale Luciano Canfora, radicato stalinista, che rivendica il suo diritto di qualificare odiosamente la nostra ‘premier’ ma poi frigna per la sacrosanta querela beccatasi.
Dimentichiamo per ora (ma ricordiamocene quando voteremo) il recente voto con il quale la strega, l’arpìa e megera chiamata Unione Europea intende introdurre l’aborto volontario (cioè l’uccisione efferata dei bimbi ancora nel seno materno), quale diritto fondamentale e inalienabile sancito dalla propria Carta; esentiamoci dall’esprimere il benché minimo giudizio sui ventilati test attitudinali da applicare ai magistrati (che a volte ne combinano di cotte e di crude); alziamo il dito medio (volgare ma necessario), al presunto liberale polacco Donald Tusk che, relativamente al conflitto russo-ucraino in corso non trova di meglio che ammonirci, noi europei, perché questo si allargherà e conseguentemente prepariamoci a mettere l’elmetto e armati ad entrarvi direttamente.
Ma, ancor più, amici e lettori miei, e ve lo chiedo con dolorosa sorpresa, come dovremmo reagire noi, cristiano-cattolici, di fronte a quella ultra blasfema ‘pubblicità’ di quelle patatine fritte-croccantissime (che ci assicurano il ‘divino quotidiano’…), messe nella Pisside in luogo della sacra Particola… vista la mancanza assoluta di riprovazione e di condanna da parte della Gerarchia ecclesiastica? Perché viene impunemente consentita la presa in giro (eufemismo), l’irrisione e l’offesa della nostra religione, della nostra fede e dei suoi simboli mentre non si osa nemmeno sfiorare (giustamente) quella degli altri, Islam in testa? Perché del nostro Credo si consente ne venga fatto strame (l’elenco delle precedenti dissacrazioni è assai lungo) senza che nessuno, specie chi di dovere, legittimamente reagisca? Perché?!
Domanda cui non seguirà risposta…stiamone certi, e speriamo che nessuno tiri in ballo la faccenda del porgi l’altra guancia...!

Ma torniamo all’inizio, amici miei, laddove invitandovi a tralasciare ogni apprensione vi esortavo altresì a respirare a pieni polmoni, se possibile.
E qui, se permettete, per farlo desidero aiutarvi semplicemente (appunto quale boccata d’aria buona) rievocando la figura di un uomo, di un fervente cattolico, ma soprattutto di un insigne musicista del quale, giusto in questi giorni, ricorre il 150° dalla nascita.
Parlo di Agostino Donini, dunque, e lasciate che ve lo presenti e ve ne parli seppure per sommi capi.
Nacque a Verolanuova (Brescia) il 22 aprile 1874 e rimase, ancora fanciullo, privo dell’affetto e della vicinanza dei genitori: la vita gli si presentò quindi come un arduo scoglio da affrontare, frangente che tuttavia non gli impedì di dedicarsi a quella educazione musicale che egli aveva intuito essere la sua strada.
Al Conservatorio di Milano, all’epoca sotto la guida di valenti maestri egli rivelò la sua spiccata propensione per la musica sacra, diplomandosi prima in composizione e in organo e divenendo altresì nel 1900 docente di armonia, contrappunto e fuga.
Subito le doti di Agostino Donini, dopo un paio di anni trascorsi ancora a Milano onde perfezionare la propria preparazione tecnica, hanno modo di farsi apprezzare in quel di Loreto ove nel 1902 viene nominato vicedirettore della Cappella della Santa Casa, ma, come spesso accade, incomprensioni e difficoltà poi sopravvenute nei confronti del direttore della Cappella, Giovanni Tebaldini, lo convinsero ‘a cambiare aria’.
Così, nel 1909 il M° Donini, bresciano, realizza la propria più alta aspirazione divenendo direttore della Cappella di S. Maria Maggiore di Bergamo.
Qui egli visse, anche sotto il profilo degli affetti famigliari (circondato dai suoi quattro figli e dall’amata consorte), il periodo più intenso e felice della sua vita.
Sono molte le vicende che accompagnano il lungo soggiorno ‘bergamasco’ del Maestro, ma, per ragioni di spazio, dobbiamo sorvolarle quasi tutte, sottolineando solo il fatto che la sua arte, ‘sfortunatamente’, dovette competere con il contemporaneo ma ben più celebre ed ammirato don Lorenzo Perosi, genio della musica sacra, che proprio negli anni di attività del Donini raggiungeva l’apice del successo e della fama.
Della produzione musicale di Donini tuttavia, estimatori, studiosi e critici del tempo espressero addirittura giudizi e valutazioni tali da farla ritenere, a volte, ‘più costruita, più raffinata e profonda’ rispetto a quella di Perosi (che era sacerdote), tanto è vero che l’afflato di alcune tra le creazioni ‘doniniane’ più note, la “Messa in onore di S. Agostino” per esempio, la “Missa Defunctorum Filiis Patriae inclitis, le “Sette Parole di Nostro Signore”, la cantata “I fuochi di Loreto”, la Messa “Tu es Sacerdos” soprattutto, composta in occasione della ordinazione sacerdotale del figlio Francesco, appunto, raggiungono vette di fede, religiosità e devota ispirazione non seconde a nessuno: lo stesso si può dire per la Messa funebre “Patri Pauperum”, l’”Inno dei Congressi Eucaristici Nazionali” e una serie di Mottetti costituenti essi stessi dei piccoli gioielli.
Ma la conclusione della sua attività di musicista e forse del suo stesso amore alla vita, in Donini, avvennero in modo subitaneo e drammatico, causa il concatenarsi di mutamenti nel destino di un uomo che spesso travolgono anche le volontà apparentemente le più salde e marcate: nel febbraio del 1934 infatti moriva improvvisamente il figlio don Francesco (poco tempo prima era morta la figlia Rosina), quel figlio da soli sei anni ordinato sacerdote e nei confronti del quale egli sentiva una particolare affinità di carattere.
Il conseguente rinserrarsi dell’uomo, oltre che del musicista, già caratterialmente schivo e riservato lo porta ad un generale distacco e disinteresse, anche nei confronti di quella musica, di quell’arte che aveva sempre costituito lo scopo della sua vita la quale si spense, repentinamente, l’8 febbraio 1937.
Furono proprio due suoi ex allievi, Alessandro Esposito e Guido Gambarini, poi divenuti tra i più rappresentativi e brillanti esponenti della tradizione musicale bergamasca, ad accompagnarne la cerimonia funebre con l’esecuzione della sua Messa “Patri Pauperum”.

Basilica di Santa Maria Maggiore in Bergamo

Traggo queste note informative, amici miei, dalla vasta e minuziosa presentazione che del Donini apparve nelle cronache della città di Bergamo nel lontano 1987, in occasione, appunto, del cinquantesimo dalla sua scomparsa, occasione che servì per ricordare, rimembrare e pure degnamente celebrare la memoria di questo grande bresciano che tanto aveva onorato la nostra Città.
Quindi ho pensato che essendo ancora oggi in itinere quella specie di proseguimento di quell’evento straordinario che è stato Bergamo-Brescia Capitali della Cultura Italiana 2023, nell’ottica di iniziative che possono esserne considerate (e finanziate nel corso di questo 2024) un prolungamento, ebbene, quanto sarebbe bello e auspicabile, anzi dovuto, che di un tal uomo, Maestro, bresciano di origine ma bergamasco di adozione e che tanto ha onorato la nostra Città, qualcuno tra coloro che ‘possono’ prenda l’iniziativa, minima, di un grande concerto rievocativo con al centro alcune delle sue più significative composizioni.
Il costo per la realizzazione di un tale evento musicale è lecito prevederlo contenuto e comunque in coerenza con l’obiettivo “Crescere insieme” delineato nel dossier BgBs23 pubblicato recentemente sul sito stesso del Comune di Bergamo: e pure Brescia, in partenariato, potrebbe beneficiarne e farne parte.
Dovrebbe essere, naturalmente, la nostra Basilica di S. Maria Maggiore il luogo più ‘adatto’ per il concerto rievocativo di cui sopra, quella stessa Basilica che nei fasti gloriosi della sua storia musicale annovera ‘giganti’ che rispondevano al nome di Franchino Gaffurio, Gaspare de Albertis, Tarquinio Merula, G. Simone Mayr, Amilcare Ponchielli, Guglielmo Mattioli: e Agostino Donini, appunto.
E Mons. Giuseppe Pedemonti, ancora.
Ma qui mi fermo, amici e lettori miei: questa era la pausa, la boccata d’aria buona cui accennavo all’inizio.
Spero non siate delusi.
Soprattutto speriamo che Bergamo e la sua Amm.ne Comunale, la Diocesi e la sua Curia, le Associazioni Culturali e Musicali, i Centri decisionali insomma ‘prendano per il verso giusto’ quanto sopra suggerito e magari lo ritengano degno di considerazione… anche perché un 150°… non è ricorrenza da lasciarsi sfuggire!

Ah, dimenticavo: questo 2024 è pure l’anno centenario dalla nascita di Mons. Egidio Corbetta, mitico Direttore del Coro dell’Immacolata. Ma questa è un’altra storia…

25 febbraio, 2024

L’ordine naturale delle cose


Cari amici e lettori miei,
            ricordate? ci salutammo, circa tre mesi fa, dopo avervi invitato a riflettere e a considerare tutti i danni e le nefaste conseguenze derivate e derivanti dal “patriarcato”, che, tenetelo sempre bene a mente, secondo i soliti “democratici” (che sono tali solo nel caso la si pensi come loro altrimenti diventiamo populisti, terrapiattisti, negazionisti, complottisti e ovviamente fascisti), il “patriarcato”, dicevamo, è stato ed è all’origine delle mille e più cose che non vanno affatto bene in questi disastrati tempi che stiamo vivendo.
Andiamo oltre però, ché ogni giorno ce n’è sempre una nuova: l’incredibile, l’impensabile e l’assurdo accadono infatti in modo così incalzante che davvero non c’è modo di rilassarsi, di non stare sul chi va là, ripensando tuttavia ai bei tempi, nemmeno tanto lontani, durante i quali la vita scorreva secondo un “ordine naturale delle cose” del quale oggi non c’è più traccia.
E allora, piluccando qua e là, o saltando di fiore in fiore se preferite, richiamo la vostra attenzione sulla CEI, la Conferenza Episcopale Italiana che, ‘popolata’ com’è da Vescovi, cioè i successori degli Apostoli, che hanno la missione di istruire, santificare e spiritualmente governare il popolo loro affidato… con riferimento appunto a quel già richiamato ordine naturale delle cose, ebbene, uno si aspetta che, come minimo, il Vescovo si occupi e si preoccupi della vita spirituale e morale di ogni ‘sua pecorella’, la quale, almeno ogni tanto, dovrebbe sentirsi sollecitata e spronata, quando non ammonita, affinché tenda alla salvezza della propria anima: osservando i dieci Comandamenti in primis, i cinque Precetti generali della Chiesa ancora, le sette Opere di misericordia corporale e spirituale ancor più, frequentando infine i Sacramenti quando d’obbligo, eccetera eccetera.
Invece che ti combina e di che cosa si occupa e si preoccupa la CEI (lasciamo perdere per carità di patria le altre Conferenze Episcopali, tedesca, olandese, francese per esempio, e tante altre sparse nel mondo… che agiscono così scopertamente contro la stessa Chiesa Cattolica al punto da farsi ritenere sue avversarie invece che sue devote figlie); che ti combina la CEI, dicevamo: alza la voce e protesta e condanna il recente accordo tra Roma e Tirana, attaccando con accenti aspri e gravi per bocca del suo presidente della Commissione per le migrazioni, il pacioso e florido Gian Carlo Perego Arcivescovo (urca!) di Ferrara, per i soldi buttati a mare dal Governo italiano conseguentemente all’accordo Italia-Albania da poco stipulato.
La faccenda è ben diversa però: l’accordo costa all’Italia 673 mln di euro (in dieci anni) e qui casca l’asino, perché diversamente dalle enfatiche, ipocrite e terzomondiste denunce del sunnominato Arcivescovo: atto di non governo – non tutela degli ultimi della terra – sconfitta della democrazia e via blaterando, è proprio l’espressione soldi buttati a mare che rivela la vera materia del contendere.
È il denaro infatti, è lo ‘sterco del demonio’ che muove le proteste della CEI: più precisamente è la ripartizione del gettito derivante dall’8 per mille che la fa stare sulle spine, gettito che diminuisce ogni anno sempre più inarrestabilmente.
Percentuali, parametri, statistiche, tabelle e quant’altro, cose delle quali ci guardiamo (per ragioni di spazio) dallo spulciare, ma che sono di dominio pubblico, certificano ‘il buco’, il vuoto che si registra ormai da tempo nelle ‘casse centrali ecclesiastiche’.
Il banco piange. E lo IOR è ‘diversamente impegnato’.
Ecco il perché dei soldi buttati a mare, il perché dell’essersi opposti con viso feroce al Governo attuale, che sino ad oggi si è mostrato tutt’altro che ostile nei confronti della CEI…, sino al punto da resistere, anch’esso, alla Unione Europea che da anni preme affinché Roma riscuota l’ICI mai versata dalla Chiesa.
Ma tant’è.
Queste sono le ambasce, le preoccupazioni, le ansie e le pene che affliggono oggi la Gerarchia ecclesiastica: i bilanci, i C.d.A., gli utili, i dividendi, le partecipazioni e tutto quanto attiene.
Già, perché la crisi tremenda che Santa Madre Chiesa sta attraversando; i seminari vuoti; le chiese sempre più deserte e a volte trasformate addirittura in refettori o dormitori; lo stravolgimento della dottrina cattolica; l’immoralità ovunque dilagante; le situazioni ‘problematiche’ in continuo aumento: famiglie divise, depressioni, droga, violenza, liti e rancori; venti di guerra che continuano a soffiare ma ancor più la inarrestabile miseria spirituale che sempre più marchia, caratterizza questi disastrati giorni; il non aver impedito che dello Initium sapientiae timor Domini fosse fatto strame; ebbene, non vi sembrano ‘cose’ queste delle quali la CEI dovrebbe soprattutto occuparsi e preoccuparsi, per le quali dovrebbe pregare e far pregare per la loro soluzione, affidandosi e soprattutto affidando le anime dei fedeli alla Provvidenza e alla Divina misericordia?!
Ma no! Che anticaglie queste, che passatismo, che oscurantismo: questo vuol dire essere reazionari, codini e nostalgici…
Alla CEI di oggi preme ben altro!

E cambiamo argomento.
Siamo appena usciti incolumi, anche quest’anno, dallo tsunami, dalle valanghe, dalla sterminata sequela di memorie, ricordi, commemorazioni e rievocazioni (oggetto la Shoah), ‘corredate’ tutte da geremiadi, doglianze, condanne e denunce concluse, con atteggiamenti e persino eloquenza ad hoc, da fervorini d’uso e pistolotti finali: raccomandazioni e fieri propositi elargiti in quantità industriale tesi tutti, ovviamente, a far sì che l’invocato ed auspicato mai più! rimanga una certezza assoluta nella storia odierna e futura del genere umano.
Tutto bello. Tutto giusto. Tutto dovuto.
Naturalmente le dita puntate contro, le reiterate condanne postume, le assolute esecrazioni che sfociano nella damnatio memoriae senza se senza ma, oggetto e soggetto i nazisti, i fascisti, anzi i nazi-fascisti, responsabili dell’Olocausto, hanno imperversato e sono diluviate; una infinità e una miriade, irrefrenabili e inarrestabili da ogni dove (giornaloni e giornaletti, tv, radio, social di ogni tipo, opinionisti, polemisti, storici cosiddetti e chi più ne ha più ne metta), poiché, ecco l’imperativo, bisogna vigilare e stroncare, anzi soffocare in culla, impedire e ostacolare a tutti i costi il risorgente fascismo!?!
Bene. Bravi. Bis.
Tuttavia… tuttavia c’è una cosa che non è chiara, che non si capisce, che sfugge alla logica e alla verità insieme: perché, viene spontaneo chiedere, con riferimento a quanto sopra, occasioni cioè in cui i sostantivi e gli aggettivi concernenti il fascismo e il nazismo (tutti rigorosamente negativi) vengono citati, ribaditi, sottolineati ed evidenziati, esecrati e demonizzati oltre ogni umano limite, perché, si domanda, dei crimini del comunismo e dei comunisti non si fa mai menzione, un accenno, un riferimento chiaro e diretto, non si fa mai nome e cognome.
Facciamola breve: l’eccezionale ‘attenzione’ dedicata ai crimini hitleriani è comprensibile e giustificata, ma, ecco la domanda, perché le testimonianze, le ricerche, le prove irrefutabili, le responsabilità inoppugnabilmente addebitabili al comunismo e ai comunisti hanno un’eco (quando non spudorate negazioni) così debole e irrilevante nelle opinioni pubbliche?
Perché questo silenzio imbarazzante e inesplicabile da parte dell’intero ‘democratico’ Occidente; e soprattutto perché questo silenzio accademico, sofistico e salottiero, politico e vile, ammantato altresì da un marcio e putrido ‘negazionismo’ (questo sì negazionismo, altro che vaccini e cambiamenti climatici!), sulle catastrofi comuniste che hanno infierito, ormai da più di un secolo a questa parte, su circa un terzo dell’umanità distribuita su quattro continenti?
Perché questa ‘incapacità’ (anzi non volontà) di porre al centro dell’analisi del comunismo un fattore essenziale come il crimine, il crimine di massa, il crimine sistematico, il crimine contro l’umanità?
I confronti sono odiosi e fuorvianti dicono i “democratici” di oggi, specie quelli di casa nostra, ma, se le ‘vittime del comunismo’ si possono, anzi si debbono far ascendere tra gli 80 ei 100 milioni… ebbene, di che stiamo parlando?
I vincitori del 1945 hanno legittimamente fatto del genocidio degli ebrei il fulcro della loro condanna al nazismo, ma sui crimini comunisti non esistono studi di questo tipo: mentre i nomi di Himmler o Eichmann sono noti in tutto il mondo come simboli della barbarie hitleriana, ebbene, Lenin, Mao, Ho Chi Minh, Pol Pot e persino Stalin ancora oggi continuano a godere di un sorprendente rispetto.


Un’ultima domanda, amici e lettori miei, anche se l’argomento meriterebbe ben altro…
Qualcuno di voi sa dirmi perché, in tema di Foibe, di ‘infoibati’ (vale a dire assassinati, uccisi, massacrati in maniera così atrocemente comunista), durante le memorie e le rievocazioni recentemente organizzate, non si è mai udito, non si è mai letto, nessuno ha mai affermato che furono comunisti, partigiani comunisti, criminali comunisti gli esecutori di quello sterminio?
Perché, ancora si domanda, contrariamente a questo dato di fatto si continua a dire, pudicamente e sommessamente, quasi scusandosene che gli ‘infoibati’ furono vittime della violenza genericamente intesa, del contrasto tra etnie, dello scontro tra ideologie, della durezza dei tempi…, ricorrendo cioè a falsità, doppiezze e ipocrisie senza precedenti, tese a non dover dire, papale papale, che i comunisti (jugoslavi ma pure italiani) furono i massacratori degli italiani giuliano-dalmati?
Quasi a lasciar intendere, così, non si sa mai… che furono polmoniti, pericarditi, malanni e malori vari, semplici disgrazie anche, circostanze occasionali per lo più a far precipitare nelle infernali cavità carsiche le migliaia e migliaia di incolpevoli italiani.


Quando, dunque, la verità storica, anzi la verità pura e semplice emergerà nella sua interezza?
Cicerone, scrittore e politico romano, oltre duemila anni fa affermava: il primo dovere dello storico è non tradire la verità, non tacere la verità, non essere sospettabile di partigianeria alcuna.
Fermiamoci qui. Nessun altro commento!



28 novembre, 2023

Patriarcato, panchine rosse e ipocrisia al cubo.


Cari amici e lettori miei, dopo la mia lunga ‘vacanza’, durata circa sei mesi e dovuta a varie contingenze e occasioni personali e famigliari che mi hanno tenuto alla larga dalla penna e dalla tastiera del pc, eccomi di nuovo al piacere (che ritengo altresì un dovere), di rivolgermi a voi tutti chiedendovi in primo luogo notizie sulla vostra salute e come vi vanno, in linea di massima, le vostre ‘cose’ e le vostre circostanze: i vostri fatti insomma. 
Spero tutto bene e che in tal modo tutto prosegua.
Dunque vediamo un po’… e riallacciamo il filo che, comunque, non si era mai del tutto spezzato: quel filo che, naturalmente, quasi obbligatoriamente si potrebbe dire, ci porterebbe a doverci riferire per capire tante cose al famoso libro del generale Vannacci (in testa a tutte le classifiche di vendita), che, appunto intitolandosi Il mondo al contrario, narra e dipinge il mondo odierno , la società di oggi, questi tristi tempi che stiamo vivendo insomma… esattamente così come sono: confusi, incerti, caotici, sconvolti e rovesciati a tal punto che mai nella storia del genere umano e dei millenni passati era stato dato di dover registrare. 
Ma il fatto è che (non si sa se nel frangente sia meglio ridere piuttosto che piangere), la china sulla quale questo rincretinito, stordito e frastornato mondo è scivolato, rischiando lo sfascio totale; questa sorta di cupio dissolvi di cui pare preda questa società moderna dal cerebro spappolato in cui accade di tutto e il contrario di tutto; il fatto è che, dicevamo, al di sopra, al di fuori e al di là di tutto questo pare che si sia (finalmente!) trovata la causa, l’origine e soprattutto il responsabile dello sfacelo attuale: il patriarcato. 
Eccolo, è lui. Dagli addosso! A morte il patriarcato! Distruggi il patriarcato! 
O poveri noi, poveri noi ingenui che si è sempre pensato al patriarcato quale tipo di organizzazione sociale e famigliare in cui, appunto, i figli entrano a far parte del gruppo cui appartiene il padre da cui prendono il nome e i diritti che a loro volta trasmetteranno ai discendenti diretti o prossimi nella linea maschile. 
Ovvio, scontato e normale che al patriarcato di cui sopra qualche volta è stato contrapposto il matriarcato, che, sebbene non soventemente ma comunque indubbiamente a sua volta ha determinato nella storia dei popoli, destini, eventi e pure capovolgimenti epocali di ogni sorta.
Ma questa è un’altra storia e quindi torniamo al famigerato patriarcato di cui tanto si dibatte in questi giorni, anzi in queste ore. 
Perché è di questo che trattasi: il soggetto e l’oggetto stesso della feroce diatriba, dell’infuocata polemica che attanaglia l’odierna società e di fronte alla quale sono scomparse quasi del tutto (fateci caso) le tragicità delle guerre, del terrorismo, delle epidemie, degli sconvolgimenti climatici, delle povertà più estese ed altre bagattelle e quisquilie consimili. 
Perché è il patriarcato, signori miei, che va combattuto, soffocato, eliminato: anzi ucciso. Perché è “lui” la causa principale, l’origine che provoca e da cui scaturisce il cosiddetto ‘femminicidio’ (orribile neologismo), che pare acutizzarsi in questa nostra disastrata epoca al punto di sovrastare ogni altra preoccupazione. 
Questo è infatti ciò che urlano e berciano da ogni dove, piazze, cortei, tv, stampa asservita e a libro paga, salotti ‘buoni’, social impazziti e fuor di senno, cervelli illanguiditi portati all’ammasso e quant’altro: “anime belle” insomma… quelle dell’utero è mio e lo gestisco io; quelle dell’aborto sempre, comunque e quantunque, anche al nono mese; quelle dell’eutanasia libera, gratuita e incontrastabile; quelle che il sesso maschile e femminile non esistono, che il maschio e femmina Dio li creò è una favola per bambini, per creduloni e sempliciotti; quelle per cui l’alias è una vittoria così gratificante e strepitosa che il non riconoscersi e non accettare ciò che Madre natura ha stabilito (e quindi usare i ‘bagni neutri’), fa rimpicciolire il Napoleone di Austerlitz.
Quelle “anime belle” ancora, e soprattutto tanto democratiche, per cui le vite dei neri contano di più; gli inginocchiamenti dei bianchi sono il minimo sindacale dovuto e le distruzioni della cosiddetta cancel culture sono una sorta di espiazione di fronte alla quale, appunto noi bianchi, dobbiamo stare zitti e muti. 
Quelle per cui il patriarcato insomma non è quel tipo di organizzazione sociale e famigliare, ripetiamo, fondata sull’autorità del capo della famiglia; quel patriarcato che, piaccia o meno se ne deve prendere atto, ha caratterizzato sempre, comunque e ovunque ogni epoca e ogni civiltà e a ogni latitudine: tutti i popoli infatti, bianchi, rossi, gialli, neri o di qualsiasi altro colore, del nord come del sud del mondo, dell’est come dell’ovest hanno avuto e hanno a base e fondamento, anche giuridico, il patriarcato di cui oggi si chiede la soppressione. 
Sempre che ci venga detto dove ancora oggi esista, in Occidente. 
Perché non va più bene. Perché non se ne deve più sopportare nemmeno l’idea. 
Perché le invasate e urlanti e odierne erinni, le logore ed avvizzite megere, le scarmigliate e incartapecorite amazzoni (quelle dal seno destro mozzato per agevolare l’uso dell’arco), radunate e accomunate dai loro furori uterini hanno finalmente scoperto, capito e denunciato che sotto il patriarcato non si nasconde altro che la fallocrazia! Sissignori, avete letto bene: la fallocrazia! Finalmente l’hanno capita: c’è voluto del tempo ma poi ci sono arrivate! 
Macché democrazia, egualitarismo, pari diritti (dei doveri se ne parla un’altra volta); macché sovranità, governi del popolo, vinca il migliore e altre amenità del genere: al contrario sono l’autoritarismo, anzi il dispotismo e l’assolutismo, in altre parole il patriarcato maschilista (rieccolo!), anzi la fallocrazia, il fallocentrismo e i fallocrati che reggono le redini del mondo, che fanno e disfanno, che comandano e dispongono, che schiavizzano e opprimono i popoli ma soprattutto le donne, il genere femminile, l’altra metà del cielo. 
Eh sì, amici e lettori miei, oggi le cose stanno così: e non affanniamoci nel tentare, anche solo abbozzare una replica, un contrasto o una opposizione; nel ricordare che quando e laddove il cosiddetto patriarcato era la base, il fondamento attorno al quale tutto ruotava e dipendeva, ai ragazzi, ai giovani, agli uomini (nel senso maschile del termine) veniva insegnato che la loro appartenenza aveva un significato, un ruolo e una missione ben precisi, ben delineati; venivano loro infuse nel cuore, nella mente e nell’anima le responsabilità che non potevano essere di nessun altro: il loro dovere era quello di offrire e dedicare se stessi nelle fatiche del lavoro, nei sacrifici delle guerre ma soprattutto nella protezione delle donne, dei figli e della famiglia. 
Non affanniamoci quindi, perché mai come ai nostri giorni sembra inutile, vano, una vera fatica di Sisifo il tentare di opporre qualcosa… un freno, un altolà e una barriera a questa deriva distruttiva che pare ineluttabile. 
Ma poi… ma poi… no, non va bene, non è giusto. Contrordine! 
Al contrario, amici e lettori miei, e scusate questo momento di debolezza, dobbiamo attivarci, opporci e pur battagliare finché possiamo, finché le forze ce lo consentono per riaffermare ciò che veramente era e dovrebbe tornare ad essere il patriarcato: una somma di valori, di ideali e di princìpi, certamente, ma soprattutto una somma di azioni alla cui base c’è la retta coscienza, l’onore, la fedeltà e la dignità… oltre al timor di Dio, che questa larva di Chiesa e questa sbandata Gerarchia di oggi non sa più nemmeno cosa sia…occupata com’è nelle sue sociologiche, terzomondiste e farneticanti apostasie ed eresie. 
Oggi è necessario, anzi indispensabile che i giovani, segnatamente i giovani maschi riscoprano la bellezza della lealtà, del coraggio e del rispetto, soprattutto verso la donna: che devono rigettare, ribellarsi ed opporsi al pensiero unico che li vuole fluidi, abulici, confusi e sottomessi, conformisti e viziosi, capricciosi e codardi. 
Tutte condizioni queste, tutti stati d’animo e modi di “essere” che sono tipici di coloro che ‘le donne le ammazzano’. 
Se il patriarcato dunque può essere ancora oggi riferito, idealizzato e persino simboleggiato dalle virtù del cavaliere cristiano, coraggioso e indomito e intrepido, ebbene, evviva il patriarcato! 
Il “femminismo”, nel suo delirio di evirazione del maschio e di mascolinizzazione della femmina è stato ed è il veleno mortale ideologico inoculato dai cosiddetti tempi moderni, introdotto dal ’68 e non contrastato dalla traditrice ‘opera’ della Gerarchia ecclesiastica “vaticanosecondista” giunta persino alla rinuncia della missione affidatale di portare a salvezza l’anima umana. 
E’ stato scritto e ho letto in questi giorni, e sottoscrivo: Siamo orgogliosi, dunque, di essere maschi, bianchi, cattolici e sessualmente normali! Aggiungo: e ringraziamo il Cielo per le donne, tutte le donne, ma soprattutto per le nostre. 

Un’ultima cosa ancora, prima di tacermi… e mi sia concessa anche se in caso contrario me la prendo lo stesso: ed è un ricordo, una preghiera, un riverente e postumo omaggio rivolto a quello che in Italia, nella nostra Italia, fu il primo ‘caso’ di autentico, bestiale ed efferato “femminicidio”, quello delle centinaia di ragazze, giovani donne, anche giovanissime che, appartenenti al Servizio Ausiliario Femminile della R.S.I., una volta catturate e arrestate dagli ‘eroici partigiani comunisti’ venivano prima oltraggiate, poi seviziate, stuprate e infine uccise. E insepolte per lo più. 
Ma di questo massacro, di questo femminicidio ante litteram, di questa vergogna, infamia e ignominia della ‘italica resistenza’, ancora oggi, a ottant’anni di distanza, tutto tace, tutto è silenzio quando non è denigrazione e mistificazione della verità. 
Già, perché è vero: di femminicidio si trattò… però antifascista… 
E allora… allora… tutto va bene, madama la Marchesa!



29 maggio, 2023

Non più chiesa ma moschea:

ciò che mai nessun credea…!


Cari amici e lettori miei,
l’argomento ‘moschee’ era andato in soffitta a dire il vero, nel senso che non se ne sentiva parlare, se non per brevi cenni, da un po' di tempo in qua, ma ora pare tornato all’ordine del giorno e, statene certi, presto ci verrà ammannito con ogni tipo di salsa: mi riferisco, e l’avrete già intuito, al nuovo PGT, cioè al Piano di Governo del Territorio presentato di recente dal Comune di Bergamo attraverso il quale, appunto, in Città sono state individuate quattro aree che permetteranno agli ‘interessati’ di realizzare addirittura quattro moschee.
Anzi no. Non si tratta di moschee… bensì di ‘edifici di culto’: vero, perché con tale eufemistica distinzione, con tale capziosa differenza la giunta Gori ha già rintuzzato le prime proteste e gli strepiti che le sono piovuti addosso.
Stiano tranquilli dunque, dicono a Palazzo Frizzoni, i cittadini dei quartieri Celadina, San Tomaso, Campagnola, Valtesse e dintorni (comunque periferia, ché il centro… il cuore della città ha da essere salvaguardato per i suoi privilegiati residenti…); stiano tranquilli perché ciò che è precisamente previsto nel PGT non è detto che saranno islamiche moschee: potrebbero essere, invece, ‘luoghi di culto’ dei quali valdesi, ortodossi, avventisti, luterani, buddisti, induisti, shintoisti, evangelici, sikh, ebrei, animisti e quant’altro potrebbero benissimo avvalersene… soprattutto se sorretti da adeguati e rilevanti e ingenti mezzi finanziari!
Già: e qui casca l’asino; siccome è il denaro che permette tutto… che muove tutto e che decide tutto… e siccome è l’Islam che più di chiunque altro al mondo ne dispone, ebbene sarà interessante e sorprendente sapere che, a PGT approvato, a richieste presentate e discusse e accolte saranno ‘religioni’ che non siano l’Islam ad erigere i loro ‘luoghi di culto’.
Ma quando mai! Non prendiamoci in giro.
Soprattutto non sia il Comune di Bergamo a prendere in giro i cittadini bergamaschi suoi amministrati.
Perché, e la previsione è tanto scontata quanto ovvia, saranno moschee quelle che ‘arricchiranno’ la Bergamo di domani: ci vorrà del tempo, certo, ma il tessuto urbanistico della città dei prossimi anni ’30 si caratterizzerà (?!) per la presenza di moschee. Addirittura dotate di minareti, forse.
Con quel che ne segue… con gli immancabili ‘muezzin’ pure, che dall’alto degli eventuali minareti delizieranno i bergamaschi e con voce alta e modulata lanciata ai quattro punti cardinali richiameranno i fedeli alle cinque preghiere stabilite dal Corano in cinque ore diverse del giorno.
Dice, a questo punto… e già lo sento: ma quando mai… fantasie… e poi si tratta di stare al passo con i tempi… noi cattolici siamo per il dialogo… siamo ‘open’, noi!
Già, è vero: inoltre il nostro ‘Number One’ ci ha da tempo ricordato, anzi ci ha ammoniti sul fatto che il ‘proselitismo è una sciocchezza’, quindi… ‘no problem’: “venghino signori, venghino… avanti c’è posto”!
Mah… che tristezza… che arrendevolezza!
Sta di fatto comunque che in assenza di ribaltamenti oggi impensabili e di imprevedibili svolte a U e in presenza invece di un fallito recupero, di un non ritorno, di una mancata ripresa del buon senso andato, della saggezza e del radicamento alle tradizioni secolari da parte dei Bergamaschi, città e provincia, ebbene sta di fatto che le orobiche moschee si faranno e si vedranno: soprattutto, forse, molti le frequenteranno.
Anche perché il ‘terreno’ sul quale dovranno sorgere è stato già da tempo ‘preparato e innaffiato e concimato’ a dovere dai salotti che contano, a Bergamo; dai gruppi di potere e dalle egemonie finanziarie e industriali; dalle conventicole dell’informazione e dai sinedrii della cosiddetta Bergamo-bene che già da tempo sono ‘aperti’ all’islamizzazione del territorio bergamasco e lombardo in genere.
Anche perché quando per anni e anni ‘si bombarda’, ‘si martella’, ‘si irretisce’ l’opinione pubblica bergamasca con tutti i mezzi del cosiddetto mainstream: quando giornali, tivù, social di ogni tipo, reportage e interviste e paginate stile ‘Bergamondo’ ti asfissiano, ti soffocano, ti frastornano con titoloni cubitali della serie: Nuove moschee? Il diritto di culto non si può negare; quando ti vogliono convincere, insomma, della ineluttabilità della cosa, e quindi vai con il viaggio tra i musulmani da Zingonia a Curno; con la moschea di Vertova che parla italiano e i sermoni del venerdì che vengono tradotti; con i mille fedeli che può ospitare la via Cenisio; quando ‘si scolpisce’ che la moschea a Bergamo significherebbe far prevalere il ‘principio di realtà’ (?!); quando ‘ti informano’ su tutto questo… ma quanto è bravo e bello e buono questo Islam… che organizza corsi di arabo anche per i bergamaschi; che fa arrivare l’iman fisso dallo Yemen; che l’imprenditore (?!) Mohamed supera il sciur Brambilla; e vai con dettagli, piacevolezze, curiosità islamiche di ogni tipo, quasi un ‘gossip’ raccontato con una sorta di compiacimento, ebbene, di fronte a tutto questo si spiega perché l’Islam gode di così buona fama, rispettosa considerazione e fiducioso accoglimento.
Di conseguenza, braccia e porte aperte: evviva i nostri fratelli dell’Islam!
E poi, diamine, come non sostenere oggi che non tutti i musulmani sono fondamentalisti e che non tutti gli estremisti sono islamici: ergo…
Anche perché, soprattutto, come fai a dissentire e a non essere d’accordo o addirittura a contraddire lo stesso Osservatore Romano (a questo punto ci si alzi in piedi e ci si metta sull’attenti!), che, a conclusione di una assemblea plenaria della Conferenza episcopale tedesca, tempo fa, così titolava perentoriamente: Costruire moschee: diritto che prescinde dalla reciprocità!
Già, perché l’Occidente e l’Europa, quindi noi, è inutile che pretenda una condizione di reciprocità, nel senso cioè di controbilanciare l’edificazione di moschee con la costruzione di chiese cristiane nei paesi islamici: no, non si può, non si fa, non si deve, non sta bene!
E si spiega, anzi si giustifica questa masochistica e rinunciataria presa di posizione (loro, da noi, tutto – noi, da loro, niente), questa sorta di auto-castrazione sostenendo che il riconoscimento attivo dell’altro è parte essenziale di quel consenso su cui si fondano le relazioni amichevoli tra cristiani e musulmani.
E quindi avanti con le solite trite e ritrite banalità… che è più importante la ricerca di ciò che abbiamo in comune piuttosto che evidenziare le moltissime ‘cose’ che ci differenziano (sai che novità…).
E quindi avanti con tanto pie quanto beote convinzioni che “Quanto più religiose sono le persone, senza tener conto di QUALE religione, tanto più ‘tolleranti’ si dimostrano nei confronto del nostro credo…(Cristiano-cattolico)”.
Bello, bellissimo, commovente; vengono le lacrime agli occhi e, per assonanza, torna in mente il tanto famoso quanto fantozziano riconoscimento del “ma com’è umano lei…”
E il fatto che nel Corano ci siano versetti nei quali viene sollecitata e autorizzata la violenza contro gli infedeli (che siamo noi), è cosa da nulla o di poco conto: sono quisquilie, bagattelle e minuzie.
Ed è la somma di tutte queste ‘cose’, queste considerazioni, riflessioni e anche timori per l’avvenire che porta noi, comuni persone, a chiederci e a chiedere il perché i vertici della nostra Chiesa, la massima Gerarchia, abbia da tempo rinunciato, quando non abiurato, ad ogni proprio primato, ad ogni proprio diritto, ad ogni propria superiorità: tutte cose, queste, ovviamente di origine Divina e quindi che prescindono dalla caducità di qualsivoglia temporanea Gerarchia, che, soprattutto, oggi sfugge ad ogni proprio Dovere!
Tradidi quod et accepi, invece: questo il solco, questo l’imperativo, questa l’eredità e il dovere cui la Chiesa di Cristo ha sempre ottemperato per la salvezza delle nostre anime.
Che altro poi non è che quello che ha sempre fatto, determinando e applicando e predicando il concetto fondamentale della dualità del Potere della Chiesa con quello dello Stato: di ciò che è di Dio da ciò che è di Cesare.
Ma nell’Islam le cose non stanno affatto così; dire Islam vuol dire Religione, vuol dire Società, vuol dire Stato, ma però non vuol dire Persona: nella lingua araba non esiste il corrispettivo della parola Persona: c’è il corpo, l’anima, la mente e lo spirito ma non esiste il concetto di persona.
E questo dovrebbe pur significare qualcosa…
E soffermiamoci un poco a considerare, a riflettere e a confrontare.
Il Corano informa tutto, stabilisce tutto, giudica tutto: il Corano non è mutabile e non deve mai essere adattato ai tempi; la sua essenza consiste nella congiunzione assoluta tra dottrina religiosa e diritto, tanto che nell’islamismo è impossibile distinguere la cultura della fede da quella giuridica.
Il credente musulmano deve abbandonarsi totalmente ad Allah. Tutto è mosso da lui e il fedele deve aderire ciecamente alla sua volontà: da qui il dovere di dedicarsi all’espansione dell’Islam e la radicale opposizione contro gli altri monoteismi.
Gli scontri armati avvenuti nella penisola arabica al tempo della predicazione di Maometto (VII secolo d.C.) fornirono il materiale originario di una “ideologia” religiosa strettamente legata all’espansionismo politico e militare.
Il monoteismo islamico è un monoteismo radicale. Allah premia il fedele e distrugge l’infedele: tutto dipende dalla sua volontà onnisciente.
Il Corano tende ad annullare Antico e Nuovo Testamento.
Non è mai apparsa, ne mai apparirà nel mondo, una religione così intensamente disposta ad assorbire e/o a distruggere tutte le altre.
Con buona pace dei nostri ‘dialoganti’. Alla faccia dei nostri ‘aperturisti’. Con tanti auguri ai nostri ‘ecumenisti’.

Intanto, proprio perché non sappiamo né leggere né scrivere facciamoci un bel Segno di Croce ed affidiamoci a Dio, l’Unico, quello Vero!


19 aprile, 2023

Vae victis

ovverosia… il trionfo della fellonìa


Cari amici e lettori miei,
contrariamente a quanto avviene in Europa, negli Usa e pure in altre parti del mondo, laddove cioè si è fissata e si fa risalire la fine della II guerra mondiale ai primi giorni del maggio e pure agosto 1945, da noi, in Italia, tutto si riassume e si compendia nel ‘fatidico e radioso’ 25 aprile.
Evviva il 25 aprile! Macché San Marco! E’ la liberazione: dal fascismo naturalmente.
E che sia chiusa così: la fine della guerra, la nostra resa, la fine del fascismo, la caccia ai fascisti e la loro eliminazione si chiamano 25 aprile e non parliamone più.
E va bene.
Noi, comunque, a queste drammatiche e tragiche vicende belliche risalenti ormai ad 80 anni fa, al loro compiersi, alla loro datazione, al loro dove e come e quando e perché abbiamo già da tempo ‘offerte e prospettate’ versioni più veritiere, ricerche, ricognizioni e rivisitazioni…, ma tutto è vano e inutile e a volte perfino controproducente e irridente: perché la Storia, signori miei (e da sempre è così), la scrivono i vincitori, anche se a volte cosiddetti.
Perchè il vae victis di Brenno, a noi italiani sconfitti, è stato inflitto come a nessuno mai.
Dunque è così. Non c’è niente da fare. Ne prendemmo atto e ne prendiamo atto. E sopravviveremo.
Però… però c’è sempre un però, un tuttavia, un nondimeno.
Che in argomento, amici e lettori miei, II guerra mondiale, 10 giugno 1940, l’Asse, gli Alleati, gli annessi e connessi, gli antefatti di quell’enorme conflitto, di quell’inferno senza pari (che speriamo più nessuno al mondo debba rivivere malgrado i tempi grami che stiamo vivendo); che in argomento, dicevamo, a volte porta qualcuno, accade, a porsi delle domande e degli interrogativi, dei perché, ora di carattere politico oppure storico, ora di semplice ricerca delle verità vere… quando ci si ribella al dover trangugiare tutto quanto è stato, viene e verrà imposto da coloro che non si chiamano più Brenno, bensì Pensiero unico, Storia scritta dai vincitori, Politicamente corretto, Benpensanti et similia, che si definiscono democratici ma così democratici al punto da dirti che se non la pensi come loro sei fuori, sei escluso, sei emarginato.
Quindi non è certo a costoro e a tutti quelli con il cerebro ammassato che rivolgiamo la domanda, tanto semplice quanto angosciante e tormentata del perché l’Italia abbia perso la guerra: è agli italiani, ancora ce ne sono, che non intendono ingurgitare l’intruglio loro imposto ai quali si prospetta, si fa loro intravvedere, si fa in loro affiorare il dubbio che le cose potevano e dovevano andare diversamente.
E mettiamolo dunque, alla fin fine, il dito nella piaga!
Per non perdere la guerra, oppure anche perdendola ma comunque con onore, sarebbe bastato che la Regia Marina Militare Italiana avesse avuto ai propri vertici (Ammiragli, Contrammiragli, Stati Maggiori e quant’altro), gente che, ovvio, ma ovvio non lo era affatto, avesse a culmine dei propri intendimenti e del proprio agire il combattere il nemico sui mari: avesse a compiere il proprio primo dovere combattendo, sfidando e scontrandosi con le navi del nemico, nella fattispecie la Home Fleet britannica.
E smettiamola a questo punto con la ‘favoletta’ della impreparazione dell’Italia in fatto di armamenti, uomini e mezzi ove rapportati a quelli del nemico: può darsi che l’Esercito e la stessa Aviazione (malgrado tutti i primati di tecnica e di ardimento che caratterizzavano le nostre ‘ali’), denunciassero durante l’evolversi del conflitto insufficienze e scarsità, ma la Marina no, anzi: nel periodo compreso tra il 1925 e il 1940 l’Italia crebbe in prestigio e importanza, affacciandosi per la prima volta nella storia moderna fra le grandi potenze mondiali, facendosi largo a spallate proprio rinnovando totalmente la propria Marina militare.
Tutto ciò risvegliò repentinamente allarmi e apprensioni fra le nazioni che allora detenevano il monopolio della forza economica, politica e militare nel mondo: il fatto più saliente di quel periodo appunto fu la nascita di una grande Marina militare Italiana.
Dal ’25 al ’40 infatti numerose navi antiquate furono ‘rottamate’ e prontamente sostituite da una moderna flotta di corazzate, incrociatori, cacciatorpediniere, fregate, corvette, sommergibili, navi d’appoggio e di servizio e quant’altro.
Tutto questo fu benevolmente ‘attenzionato’ dagli Usa dell’epoca ma risvegliò la preoccupazione dell’Inghilterra e la malevole diffidenza della Francia che non vedevano di buon occhio lo sviluppo della nuova potenza mediterranea italiana, considerando l’avvenimento come una inammissibile intromissione nelle loro posizioni di predominio.
Le condizioni basilari dunque di efficienza ed efficacia, di potenza e dinamismo della nostra Marina militare ad inizio conflitto c’erano tutte, ed erano tali da impensierire molto le Marine nemiche, ma poi… ma poi cominciarono i disastri e i rovesci tra i più incredibili ed inspiegabili tra quelli subiti: l’affondamento delle corazzate nel golfo di Taranto; l’incontrastato bombardamento dal mare di Genova; l’agguato a Matapan; la capitolazione della munitissima Pantelleria e dell’altrettanto fortificata Augusta praticamente senza colpo ferire; lo sterminio della nostra Marina mercantile di trasporto e di appoggio: e fermiamoci qui, per carità di patria è il caso di dire, poiché tale elenco, dolorosissimo solo per il fatto che tutti questi “colare a picco”, questi affondamenti e inabissamenti comportavano il sacrificio, la morte di migliaia e migliaia di tanto valorosi quanto incolpevoli Marinai d’Italia, ebbene, tale elenco, ove analitico, sarebbe assai più lungo.
La corazzata Vittorio Veneto e sommergibili italiani
Dice, forse, alcuno di voi a questo punto: com’era possibile… come poteva accadere… perchè tutto questo?!
Il fatto è, amici e lettori miei, che la Marina inglese prima e statunitense poi sapevano tutto…, sapevano tutto della nostra: quando salpava, dov’era diretta, la rotta da seguire, quali fossero le navi (sole oppure in convoglio), chi le comandava, di quali armamenti fossero dotate, il contingente dell’equipaggio e tanti altri dati e caratteristiche utili per il loro inquadramento, riconoscimento e… siluramento!
E i nostri marinai, i nostri soldati del Mare morivano…!
Ma come facevano gli Alleati a sapere tutto di noi… come facevano all’Ammiragliato inglese… mentre sorseggiavano il thè delle cinque alternandolo ad un buon bicchiere di cherry o di brandy a sapere (e di conseguenza ad istruire ben bene la loro Home Fleet, corsara del Mediterraneo), che l’incrociatore italiano Tizio, il sommergibile Caio e il cacciatorpediniere Sempronio, soli oppure in convoglio erano stati ordinati a questa invece che a quella missione, a questa invece che a quella incursione, a questa invece che a quella operazione? Già. Come facevano?
Bella domanda. Alla quale si rispose poi, anni dopo, divulgando il fatto che il sistema di decrittazione inglese detto Ultra era superiore al nostro e a quello germanico detto Enigma: può darsi che fosse così, ma l’argomento, in effetti ancora secretato e non più oggetto di ricercatori storici indipendenti non consente punti fermi e assoluti.
Dunque… dunque la risposta, quella vera, mai secretata, al contrario impunemente spiattellata e pure rivendicata la leggiamo in un libro, autore l’Ammiraglio italiano Francesco Maugeri, scritto in inglese nel 1948, pubblicato a New York e mai tradotto in Italia, libro intitolato From the ashes of disgrace (Dalle ceneri del disonore), in cui l’inqualificabile, indefinibile e inclassificabile Ammiraglio racconta le vicende belliche della Marina militare Italiana (della sua Marina!) esprimendo simpatie per gli Alleati e avversione alla causa dell’Asse! Niente di meno!
E non dice nulla il fatto che il Contrammiraglio Maugeri (la sua carriera e le sue decorazioni nel frattempo aumentavano), il 4 luglio 1948 venisse decorato dagli americani per servizi resi al governo degli Usa!?
La Legion of merit ottenuta dagli Usa infatti recitava come motivazione: per la condotta eccezionalmente meritevole nel compimento di superiori servizi resi al Governo degli Usa in qualità di Capo del servizio informazioni navali, di Comandante della base navale di La Spezia e di Capo di stato maggiore della Marina militare italiana durante e dopo la seconda guerra mondiale.
E ancora, cosa dire, cosa pensare, come concludere quando nel succitato libro si legge: L’inverno del ’42-’43 trovò molti di noi, che speravamo in un’Italia libera, di fronte a questa dura, amara e dolorosa verità: non ci saremmo mai potuti liberare delle nostre catene se l’Asse fosse stato vittorioso.
E su altra pagina: Più uno amava il suo Paese (già la Patria era scomparsa) più doveva pregare per la sua sconfitta nel campo di battaglia: finire la guerra, non importa come, a qualsiasi costo!
Sempre nello stesso libro, che citiamo per l’ultima volta perché lo schifo, il vomito e il ribrezzo stanno superando ogni limite, il pluridecorato nonché spudorato e venduto Maugeri ancora affermava: l’Ammiragliato britannico aveva abbondanti amici tra i nostri Ammiragli anziani e nello stesso Ministero della Marina.
Già, perché Maugeri evidentemente non era solo: altri suoi “colleghi”, vertici della Regia Marina Militare Italiana, più precisamente Supermarina, “gli reggevano il sacco e gli facevano da palo”, allo scopo, nobili di animo e ispirati da elevati intendimenti com’erano, di perdere la guerra: proprio così, di perdere la guerra, costringendosi anche, quindi, con umiliazione senza pari, a ‘consegnare’ l’11 settembre 1943 la restante flotta militare italiana ormeggiandola tristemente sotto i cannoni della fortezza di Malta.
E qui mi taccio, ritenendo di aver risposto comunque alla domanda del perché l’Italia perse la guerra: mi taccio anche se le cose da dire sarebbero ancora tante, tantissime: e lo faccio innalzando una prece, un grato ricordo e soprattutto un ammirato rispetto verso tutti i Marinai d’Italia, di ogni ordine e grado, tutti incondizionatamente coloro che, Carlo Fecia di Cossato, Capitano di Corvetta in testa, hanno combattuto, hanno sacrificato la loro vita rendendosi luminosi esempi di valore, di coraggio e di onore!
Potevano dunque “le cose” andare diversamente? Nessuno lo sa ne mai lo si saprà.
Rimane solo da sottolineare il fatto, amarissimo, che se è vero come è vero che gli Italiani nella loro plurimillenaria Storia hanno raggiunto vertici e vette e sommità anche solo impensabili e inarrivabili ad altri popoli, ebbene, di contro a volte sono altresì caduti, precipitati, sprofondati in abiezioni, tradimenti e ignominie senza pari.
Del resto, dove se non in Italia poteva accadere l’abominio di Piazzale Loreto?!
Carlo Fecia di Cossato

17 marzo, 2023

Messa in latino… e tanto altro!

Cari amici e lettori miei,
dove eravamo rimasti? Ah, già, ora ricordo: ci eravamo lasciati dopo aver richiamato la vostra attenzione sulla ‘minacciata e programmata’ sostituzione etnica ‘dell’uomo bianco’ (a beneficio di un meticciato informe e diffuso), che dovrebbe caratterizzare gli abitanti dell’Europa e più vastamente dell’Occidente in un futuro più o meno prossimo.
Dio non voglia che questo accada… ma, comunque, sarà questa una ‘vicenda’ di vitale ed esistenziale importanza che ‘toccherà’ alla nostra discendenza di affrontare: le future generazioni dovranno farsene carico… mentre speriamo non ne rimangano travolte e soccombenti.
Per ora, tuttavia, limitiamoci ad un chi vivrà vedrà: nel contempo, e la cosa non farebbe altro che bene, magari potremmo anche pregare un po’.

Non per saltare di palo in frasca ora, bensì per ‘cavalcare’ l’attualità riportiamoci al recente ‘decennale di pontificato’ di Bergoglio, felicemente regnante, sul quale peana, lodi, panegirici e specialitivù sono piovuti a dirotto; sul quale sono diluviati articoli, elzeviri, articolesse e persino ‘coccodrilli’ in quantità industriale.
Del quale invece, Bergoglio appunto, è necessario ricordare la sua ‘luminosa impresa’ consistente nel fatto che, era ora!, le celebrazioni delle Messe comunemente conosciute come Messe in latino d’ora in poi saranno vietate, proibite, verboten!
Ed è appunto su tale divieto, interdizione e ostracismo che occorre il soffermarvici…, riconoscendo in primis che Bergoglio è di parola.
Quello che dice di fare lo fa. Lui è granitico. Quando vuole è un rullo compressore.
Con un motu proprio ad hoc infatti, intitolandolo Traditiones Custodes (?!) e quindi ricorrendo a quel latino da lui tanto detestato quanto indigesto ha soppresso, soffocato e ucciso il precedente di Benedetto XVI, suo predecessore, che, al contrario, nel luglio 2007 concesse la possibilità di Messe celebrate con liturgia romana anteriore alla cosiddetta riforma del 1970 di Paolo VI: Messe di San Pio V insomma, ‘Messe di sempre’, che, d’ora in poi potranno essere autorizzate solo dal Vaticano: anche i vescovi invero sono stati estromessi da possibili ed eventuali concessioni in argomento.
Bene. Bravo. Bis.
E allora, a questo punto, con tutto il rispetto, la deferenza e la considerazione dovute ai Sacerdoti cattolici, ai ministri di Dio, agli uomini consacrati che hanno cura d’anime, ecco che naturalmente ne discende il rivolgere loro alcune riflessioni o anche semplici interrogativi e perplessità relativamente al pontificato ‘bergogliano’.
Perché ce ne sono, e sono più di quanto s’immagini, oggi, di preti disorientati, smarriti, confusi e dubbiosi.
Dunque, Reverendi, se in alcuni di voi ancora albergano la perplessità, l’inatteso e a volte lo sconcerto, ma di che vi meravigliate?!
Ma che v’aspettavate da colui che sin dal primo apparire sul balcone della basilica di San Pietro, dopo lo annuntio vobis, gaudium magnum… rispose alle festanti acclamazioni dei fedeli con un banale, fuoriluogo e ordinario buonasera invece del bellissimo, confortante e fortificante Sia lodato Gesù Cristo!; che fermò i Cerimonieri porgenti al neo eletto il rocchetto e la mozzetta con un mortificante sono finite le carnevalate!
Che addirittura poi (citiamo a memoria, senza ordine cronologico), ‘riprendeva’ un chierichetto perché aveva le mani giunte; concedeva subito udienza ad una coppia gay; si incontrava, cordiale e bendisposto con la Bonino Emma, abortista primatista; dava peso, risalto e stima ai suoi scambi ‘culturali e teologici’ con il ‘guru’ Eugenio Scalfari, ateo tra gli atei; consentiva alla proiezione delle bestie sulla facciata di San Pietro; procedeva ad epurazioni all’interno dell’Accademia per la Vita. Per tacere d’altro.
Se vi avessero detto, cari Sacerdoti, che la base e l’essenza della Dignitatis humanae servirono come alibi a Bergoglio per affermare che il proselitismo è una solenne sciocchezza, ebbene cosa avreste risposto?
Se vi avessero mostrato a cosa si doveva ridurre la Messa, con preti che inventano le parole della Consacrazione e non si genuflettono al termine della medesima, si rifiutano di recitare il Credo…, avreste trangugiato il tutto in perfetta letizia e spirito d’obbedienza?
Se avreste saputo che nel 2017 Bergoglio avrebbe celebrato il V centenario delle “riforme” di Lutero invece che il centenario delle apparizioni di Maria Santissima a Fatima avreste creduto alle attestazioni di chi vi diceva che lo scopo dell’Ecumenismo era di riavvicinare le comunità separate all’unico Ovile di Cristo?
Avreste mai pensato che a fronte dei legittimi, fondati e ponderati Dubia di alcuni cardinali Bergoglio avrebbe opposto solo un pervicace rifiuto anche ad una benché minima risposta?

Andiamo oltre tuttavia, almeno per il momento, e torniamo ai tempi del Concilio Vaticano II, cioè ai tempi felici della vostra adolescenza e prima giovinezza, cari Sacerdoti, tempi nei quali sceglieste di rispondere alla chiamata di Dio e dedicare la vostra vita alla Sua gloria e alla salvezza delle anime a voi affidate: ebbene avreste mai pensato di finire a fare il sindacalista, l’operatore culturale o l’assistente sociale, vestiti disinvoltamente ‘trend’ e nel contempo dover assentire al fatto che, tutto sommato, tutte le religioni vanno bene?
Ma voi sapevate allora, e in fondo al cuore ancora lo credete che nel vostro ministero avreste dovuto proclamare il Vangelo, donare la vita della Grazia con il Battesimo e restituirla con la Confessione, consacrare nella legge di Dio l’unione degli sposi cristiani, chiudere gli occhi dei morenti confortandoli con la Estrema Unzione e con il Viatico, accompagnarli all’ultima dimora benedicendo la loro tomba: e, forse, indirizzare qualche giovane al sacerdozio o alla vita monastica!
Invece vi hanno fatto credere, a piccoli passi, che non cambiava nulla anche se nei fatti stava cambiando tutto: non solo le cose di poco conto ma pure la stessa dottrina, la morale, la liturgia e la spiritualità.
Così, anche con quella talare buttata alle ortiche vi siete resi simili al mondo, mentre si è spenta nel contempo quella luce che necessitiamo di scorgere per vedere Dio attraverso il Suo ministro.
Quel girare l’altare verso il popolo non è servito ad avvicinare i fedeli a Dio, bensì a far loro credere che la Messa non è un Sacrificio ma una cena… alla quale si può andare disinvoltamente vestiti.
Quel dare la Comunione in mano, poi, ha indebolito (anzi del tutto annullato) il senso di adorazione verso il Santissimo Sacramento, al punto che oggi si può negare apertamente la Presenza Reale e al tempo stesso essere professori e docenti in Seminario.
E quell’insistente martellare, quasi ossessivo, sul Concilio, sullo spirito del Concilio, sulla Chiesa del Concilio, sui Papi del Concilio, sulla Messa del Concilio vi ha portati a pensare che quel che c’era prima, quando eravate giovani o anche solo bambini era tutto sbagliato, era un’altra religione, un’altra Chiesa: la vecchia Chiesa, a detta della Gerarchia di oggi.
E così, a distanza di alcuni decenni le chiese sono vuote e addirittura a volte vengono usate quali refettori o dormitori, a seconda delle necessità…; le vocazioni sono quasi azzerate, i conventi e i monasteri e i seminari chiudono e vengono venduti per farci degli alberghi, dei ‘resort’, delle ‘location’ d’alta classe: affaroni d’oro!
E a causa della scarsità di preti…, oplà, il rimedio eccolo qua: basta ‘ordinare’ i “viri probati”, pensare alle “donne diacono” e affidare i funerali e la predicazione ai laici: no problem!
Già: intanto voi Sacerdoti che professate e vi dedicate, prego!, proseguite e continuate soprattutto a occuparvi e preoccuparvi di trovar casa, cibo e quant’altro per i profughi, gli immigrati, i rifugiati, per tutti i “fragili” insomma provenienti da ogni dove, usando di tutte le strutture e i mezzi così come intima Bergoglio, il quale non spende una parola per chi non vuole accogliere la vita nascente nel ventre materno: la strage degli innocenti, che più innocenti non si può non gli scalda il cuore; lui non si immischia, dice.
Certamente ricorderete: sollecitato di un commento, di una valutazione, di un giudizio rispetto ai sodomiti egli rispose con quel ‘famoso’ Chi sono io per giudicare che rimane una vetta inarrivabile di ipocrisia e irresponsabilità!
E stendiamo un pietoso velo, per carità, sulla sua ‘esortazione’ a non fare i figli come i conigli: che Dio lo perdoni!

Ma è tempo di concludere ora, che già s’è detto abbastanza: non senza ‘invitarvi’, cari nostri preti, ‘incoraggiarvi’, ‘pregarvi’ anche (per quel poco che possono valere le nostre preghiere), a rinfrescare, a rinverdire e far rifiorire di significato, di priorità e di indispensabilità quelle “cose”, oggi cosucce di poco conto, quali i 10 Comandamenti, i 5 Precetti generali della Chiesa, le 7 Opere di misericordia corporale e spirituale, i 7 Sacramenti così come i 7 Doni dello Spirito Santo, le 3 Virtù teologali e le 4 Cardinali, i 7 Vizi capitali; soprattutto a ricordare, agli uomini di oggi, così moderni, ‘adulti e liberi’ come si credono di essere, che, comunque sia, i 4 peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio, vale a dire, a) l’omicidio volontario, b) il peccato impuro contro natura, c) l’oppressione dei poveri, d) il defraudare la mercede agli operai, peccati ai nostri tempi così frequenti ed impuniti, dovrebbero essere combattuti, avversati, frenati da un tanto sano quanto necessario ‘ritorno’ allo Initium sapientiae timor Domini.
E che i Novissimi (cose ultime, le più importanti), Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso dovrebbero saggiamente tornare a riecheggiare, ammonitori, nelle vostre omelie ed esortazioni.
Questo mi sentivo di dirvi, e questo vi ho detto, cari Presbiteri tutti, e sorvolo e non raccoglierò nè mi soffermerò sugli eventuali risolini, compatimenti, scrollatine di spalle che mi pare già di intravvedere e sentire.
Agli eventuali risentiti e sdegnati tra di voi (spero non tra coloro che personalmente conosco) porgo già da ora il mio rincrescimento ma nessuno riuscirà a convincermi, comunque, di possibili, errate convinzioni!
ULTIMISSIMA ORA. Siccome non urgono all’interno di Santa Madre Chiesa impellenze di nessun genere, nessun pericolo incombe e il futuro si prospetta roseo e propizio come non mai, ecco Bergoglio esternare sul celibato dei preti cattolici…, che non è un dogma, non è un credo nè una fede, dice: trattasi solo di una ‘disciplina’ che, se del caso, potrà essere modificata o superata, si vedrà.
Che bella prospettiva per i preti di domani: niente più perpetue ma legittime mogli!