Cari amici e lettori miei,
riprendo la penna in mano, dopo alcuni mesi di assenza dovuta a differenti vicende e circostanze, non senza augurarmi che stiate tutti bene, voi e le vostre famiglie, e che quindi sani e salvi e incolumi abbiate vissuto questo ultimo travagliato periodo; questa primavera-estate ’24 che, invero, ne ha viste di tutti i colori: l’incredibile diventare realtà, l’impensabile diventare certezza, l’assurdo diventare di volta in volta ora possibile ora prevedibile.
Ma lasciamo tutto alle spalle comunque, anche se delle conseguenze, ripercussioni e contraccolpi di questi squilibrati e sfatti tempi ne pagheremo poi – come usa dire – il fio e lo scotto, specialmente i nostri discendenti.
Transeat dunque, ché altro mi preme.
E prima di lasciarvi, forse definitivamente, ve ne voglio parlare… anche se magari alcuni tra di voi si chiederanno come mai invece che della transizione energetica, dei mutamenti climatici, dell’intelligenza artificiale et similia, io qui, e ora, mi soffermerò su di un fatto, anzi un assassinio, quello dell’on. G. Matteotti, avvenuto esattamente un secolo fa: il 10 giugno del 1924.
E perché di tale accadimento ormai lontano nel tempo io ne voglio trattare, ripeto, qui e ora.
Sgombrando subito il campo, in ogni caso, anche del minimo dubbio rispetto al riconoscimento della tragicità, della iniquità e della scelleratezza di tale omicidio politico; di tale insensato delitto che, di primo acchito, come conseguenza sembrava minacciare la solidità e l’efficienza del governo Mussolini dell’epoca.
Quello stesso Mussolini che, poi, il 13 giugno 1924, alla Camera dei Deputati, con riferimento all’ormai accertato ritrovamento del corpo di Matteotti dichiarava: “…Se si tratta di deplorare, se si tratta di condannare, se si tratta di compiangere la vittima, se si tratta di procedere alla ricerca di tutti i colpevoli e di tutti i responsabili, siamo qui a ripetere che ciò sarà fatto tranquillamente e inesorabilmente. Ma se da questo episodio tristissimo si volesse trarre argomento non per una più vasta riconciliazione degli animi sulla base di un accettato e riconosciuto bisogno di concordia nazionale, ma si cercasse di inscenare una speculazione di ordine politico che dovrebbe investire il Governo, si sappia chiaramente che il Governo punta i piedi, che il Governo si difenderebbe a qualsiasi costo, che il Governo avendo la coscienza enormemente tranquilla ed essendo sicuro di aver già fatto il suo dovere e di farlo in seguito, adotterebbe i mezzi necessari per sventare questo gioco che, invece di condurre alla concordia gli animi degli italiani li agiterebbe con divisioni ancor più profonde.”
Con divisioni ancor più profonde.
Già, perché Mussolini presagiva che “il caso Matteotti” avrebbe rianimato e rinsanguato la svigorita e imbelle opposizione antifascista interna ed estera, che ad un anno e mezzo ormai dalla sua presa del potere si rivelava, appunto, impotente, incapace ed insipiente: e intuiva la necessità di risolvere presto il misfatto (cosa che avvenne con la rapida cattura del criminale Dumini e i suoi complici), affinché l’Italia non interrompesse il suo ormai inarrestabile percorso di consolidamento e prestigio tra quelle che erano le potenze europee del tempo.
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| Giacomo Matteotti |
Ma chiudo qui il ‘caso’ Matteotti (sul quale sono stati versati fiumi, mari ed oceani di inchiostro), richiamato solo per denunciare il fatto che il medesimo sia considerato, da sempre, il paradigma, il termine di paragone per definire e qualificare la cosiddetta violenza fascista: la violenza squadrista.
Perché, signori miei, e tenetevi forte anche se la mia è ‘la scoperta dell’acqua calda’, la cosiddetta violenza fascista non fu altro che la reazione, l’opporsi e il legittimo contrastare la ben più organizzata e ramificata e soprattutto letale “violenza Rossa”, che in Italia (e tralasciamo altri contesti europei) venne bollata (o esaltata) con il famigerato marchio di Biennio Rosso (1919-1920).
Fu il Biennio Rosso infatti (che comunque infierì anche nel 1921), il periodo che seguì la conclusione vittoriosa, anche e soprattutto da parte italiana della Prima guerra mondiale, che registrò in Italia una situazione sovversiva e sediziosa che minacciava di portarla al collasso: fu in quel lasso di tempo che i governi cosiddetti liberal-democratici, privi di autorità, di polso e credibilità causarono e non contrastarono notevoli tensioni politiche e sociali.
Episodi di violenza legati a movimenti socialisti e anarcoidi (il Partito socialista unitario dell’epoca era egemone nel cosiddetto proletariato), ‘caratterizzavano e animavano’ le giornate di allora: con pagine di vergogna e di infamia, di fanatismo e bestialità - scritte con il sangue - si riassumeva la nuda cronologia delle gesta criminali del gregge socialista e delle bande anarchiche.
Cascinali e fienili incendiati, agguati, imboscate e sparatorie ovunque; processioni religiose impedite e disperse; carabinieri, soldati e soprattutto ufficiali in uniforme fatti oggetto di sputi e irrisioni quando non di revolverate e fucilate; saccheggi, devastazioni e distruzioni di negozi e proprietà private; persino bombe, gettate tra capannelli, riunioni e gruppi di presunti fascisti; interruzioni e danneggiamenti specie ferroviari; sequestri di dirigenti e tecnici industriali; insidie e appostamenti incombenti, ovunque… e nel mirino fascisti, clero, borghesia e padroni.
E morti, tantissimi morti, assassinati e trucidati il cui numero si fa ascendere a molte centinaia, forse migliaia, ma dei quali si sa poco o nulla poiché gli storici, cosiddetti, e i ricercatori, presunti, si tennero sempre alla larga da un ‘tema’ siffatto, anche e soprattutto in questi anni del XXI secolo.
Ecco, questo il catalogo: il campionario che offriva la premiata Ditta antifascista (sebbene il fascismo, allora, fosse solamente in fìeri) nel famigerato Biennio Rosso.
Poi, nel 1921, sarebbero arrivati i comunisti (socialisti dissidenti) a dar man forte, a far da truppe cammellate, abbeverate alla fonte di Lenin e dei ‘soviet’ russi, impegnati tutti a far sorgere ‘il sol dell’avvenire’ e a concretizzare ‘le magnifiche sorti e progressive’: a metterci il carico da 90 insomma.
Ma questa… questa è un’altra storia… sulla quale è già stato scritto qualcosa.
Quindi, cari amici e lettori miei, ecco perché a questo punto ritengo di aver assolto al mio dovere avendovi parlato del Bienno Rosso, del quale, forse, anche alcuni tra di voi ne ignorano la genesi , lo sviluppo e il suo ramificarsi, ché anche dopo il secolo trascorso esso è ancora vivo e vegeto e perpetuato nel tempo sino ai nostri giorni: i continuatori, gli eredi e gli epigoni del Biennio Rosso sono ancora qui, oggi, in grado di perpetuare pseudo verità, mistificazioni storiche, settarismi e faziosità e partigianerie di ogni sorta.
Sicché mi pongo la domanda.
Perché, appunto, mi chiedo e vi chiedo ma ancor più chiedo a tutti, ripeto, a tutti, perché la violenza è accostata al fascismo; la prepotenza è sinonimo di fascismo; i fascisti sono additati, perseguiti e criminalizzati come eversori, aggressivi e brutali per antonomasia!? Perché?
Perché?, mi chiedo e vi chiedo, anzi, chiedo a tutti.
Certo, il fascismo e i fascisti tra mille cose furono anche prevaricatori e sopraffattori, ma lo furono, ripeto mille volte, solo per ritorsione, per rivalsa, per opposizione.
La violenza fascista, comunque, paragonata a quella dei ‘rossi’, cioè dei socialisti, comunisti, anarchici e quant’altro ci fa la figura della educanda o del dilettante.
E allora: se, da ottant’anni in qua la toponomastica italiana enumera in circa quattromila le intitolazioni a Matteotti (vie, viali, piazze, giardini, parchi pubblici), se innumerevoli sono le istituzioni, le associazioni, i sodalizi, i monumenti a lui eretti e dedicati, ebbene, domando, qualcosa di simile, anche se solamente simbolico, non lo meritava pure Armando Casalini (1883-1924), deputato fascista (anche ipovedente), che, il 12 settembre 1924 venne assassinato sotto gli occhi della sua figlioletta, mentre erano su di un tram di Roma, da un criminale socialcomunista, tale Giovanni Corvi, che, così, tanto per gradire gli scaricò in testa ben tre revolverate?!
Del pari, cosa dire di Nicola Bonservizi (1890-1924), giovane fondatore del Fascio di Parigi che il 20 febbraio 1924 venne proditoriamente ucciso, in un ristorante parigino appunto, da tale Ernesto Bonomini, fuoriuscito cameriere anarchico e antifascista?!
Ecco, a questo punto un altro interrogativo si pone, ovvio, scontato, quasi imbarazzante ma che non troverà mai risposta onesta, accertata e quindi vera: perché, domando, a Matteotti ogni onore e gloria (per carità… nulla da dire…) sino al punto che, forse, tra non molto ce lo ritroveremo pure sugli Altari, mentre a Casalini e Bonservizi, uccisi come ‘cani rognosi’ dall’antifascismo seppure colpevoli di nulla se non di amor patrio, perché, ripeto, non un viottolo, un vicolo, tantomeno una piazzetta vengono a loro memoria concessi dai ‘democratici’ di oggi, rigorosamente antifascisti che più antifascisti non si può, da quelle ‘anime belle’ cioè che incarnano ogni civica virtù, da quei benpensanti oltre che politicamente corretti che ‘detengono’ il vero e il giusto? Perché non chiedete a costoro anche voi (di certo ne conoscerete una caterva), amici e lettori miei: fate una specie di indagine nella cerchia delle vostre parentele, amicizie e conoscenze ponendo le questioni sopra accennate, e poi, magari, mettetemi al corrente di qualche risposta, spiegazione o replica che sia: trepidante, interessato e pure sitibondo rimango in attesa!
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| Armando Casalini e Nicola Bonservizi |



















