Cari amici e lettori miei,
lasciamo perdere questa volta l’attualità, l’oggi, il ‘vissuto quotidiano’ con tutti i problemi e le ansie che ne derivano; gli ostacoli e gli imprevisti da affrontare e superare e vediamo, invece, di fissarci un poco su qualcosa e su qualcuno del quale, in questo 2021, ricorrono i 700 anni dalla sua morte.
Sto parlando, l’avrete capito, di Dante Alighieri, questo grande, questo gigante, questo genio inarrivabile della cultura, della letteratura e della italianità in genere.
Disintossichiamoci quindi (pur se brevemente ahinoi, ché la cruda realtà torna sempre presto ad imporsi), dalle tossine e dai miasmi venefici che caratterizzano questa nostra epoca; liberiamoci dalle miserie e dalle piccolezze, dal gravame del contingente e cerchiamo, se possibile, di rivolgere un pensiero, un’emozione, una riflessione a colui che secondo il devastante ‘politicamente corretto’ di oggi dovrebbe essere censurato e boicottato in quanto antisemita, razzista e ovviamente omofobo.
Ma noi, invece, rafforziamo la nostra contrarietà, la nostra più ferma opposizione, il nostro rigetto contro i propositi liberticidi e masochistici del ‘pensiero unico’ e del cervello ‘portato all’ammasso’, propositi tendenti tutti – idiozia al cubo – a raffigurare il Sommo Poeta addirittura come maschilista e sovranista (?!), mentre, ribadendo l’inconfutabile confermiamo che la Commedia è certamente Divina di nome ma soprattutto lo è di fatto.
Perché ciò che più sorprende, invero, che più stupisce anche chi si approccia alla Divina Commedia senza alcuna pretesa se non quella di goderne le mille e più sfaccettature è l’accorgersi, il toccar con mano quanto e come le situazioni politiche, le condizioni morali, le vicende sociali, gli accadimenti religiosi descritti dal Poeta all’inizio del XIV secolo si attaglino perfettamente alla società odierna, al mondo di oggi: sembrano, a volte, uno spaccato di questo inizio di terzo millennio.
Con brevi cenni e a sostegno di quanto precede è significativo ravvisare nelle accorate parole di Cacciaguida (Paradiso, canto XV, v.97 e sgg.), trisavolo di Dante, che delinea l’aspetto della Firenze antica (Fiorenza dentro dalla cerchia antica…), quando la città viveva in pace nell’osservanza delle leggi morali e si caratterizzava per una vita patriarcale i cui costumi erano sobri, onesti, e le donne fiorentine pudiche e operose; e contrappone, Cacciaguida, a questa serena visione la Firenze dell’epoca di Dante, città corrotta e dilaniata, causa di lotte e di odio, di immoralità e dissolutezza: ebbene, come non scorgere in questa seconda Firenze lo specchio del mondo odierno, soprattutto dell’Italia di oggi?!
E ancora, come non riconoscere quale eccezionale, straordinaria oltre che profetica, se riferita ai nostri giorni, quella terzina dantesca con la quale un ancor più desolato Cacciaguida accusa la denatalità, la crisi delle nascite che affliggeva la Firenze dell’epoca di Dante e la commisura con la Firenze del suo tempo: Non avea case di famiglia vòte/non v’era giunto ancor Sardanapalo/a mostrar ciò che ‘n camera si puote. (Paradiso, canto XV v.106 e sgg.)
Non è, questo grido di dolore, questa denuncia di Cacciaguida che addita le case senza figli (a causa della degenerazione morale e della mollezza di costumi rappresentata dalla figura di Sardanapalo, il re Assiro famoso per la lussuria e la effeminatezza), non è, dicevamo, un quadro impressionante del mondo di oggi, anzi del mondo occidentale inteso in senso lato?!
Pure in tema di immigrazione ‘selvaggia’, della mescolanza di uomini di diversa origine e natura Dante, ancora per bocca di Cacciaguida, sembra scrivere per i nostri tempi: nel canto XVI infatti, sempre del Paradiso, con una terzina dal sapore ‘caravaggesco’ (vv.67,68,69) così come le successive egli introduce l’argomento: Sempre la confusion delle persone/principio fu del mal della cittade/come del vostro il cibo che s’appone. Certo, la mescolanza delle genti cui si riferisce Dante non è della stessa natura e origine di quella che oggi ci occupa e ci preoccupa, poiché allora era circoscritta al contado fuor delle mura, alle altre genti toscane che in massa erano calate su Firenze snaturandone la fisionomia etica e sociale; tuttavia il principio, il concetto e soprattutto le conseguenze di una immigrazione ‘selvaggia’ sono identiche: il “mal della cittade” proviene sempre dalla mescolanza di uomini di diversa origine e natura; la “confusion delle persone”, vale a dire popolazioni nuove che si aggiungono alle precedenti senza amalgamarsi con esse, non dà forza, bensì debolezza: proprio come “il cibo che s’appone”, cioè quel cibo che s’aggiunge ad altro già ingerito ma non ancora digerito e che quindi non può dare salute, dare forza.
Dopo la ‘trilogia’ di Cacciaguida (anche il canto XVII infatti è tutto ‘suo’), che solo per cenni accostiamo ai temi esistenziali dell’uomo moderno dimostrando quanto essa sia calzante, appunto, con i timori, lo smarrimento e lo sfacelo dei nostri tempi, i successivi tre canti del Paradiso (XVIII, XIX e XX), si accentrano sul tema della Giustizia, giustizia umana che procede da quella divina: (Paradiso, XVIII, v.91-93) Diligite iustitiam qui iudicatis terram (Amate la giustizia voi che governate il mondo: ‘primo versetto del biblico libro della Sapienza’); monito rivolto ai rettori del mondo, il cui ufficio consiste appunto nell’attuare, in forme terrene, l’idea universale della giustizia.
E Dio solo sa quanta necessità di giustizia, di vera giustizia oggi abbisogni l’Italia!
Ho solo accennato, cari lettori miei, alla ‘modernità’ di Dante, alla sua attualità, alla sua incredibile capacità di descrivere i suoi tempi e di prefigurare, profetizzare si potrebbe dire i secoli che gli sono succeduti: di penetrare l’uomo, anima e corpo, scolpendone la sua origine di creazione del Creato, di immagine e somiglianza del Creatore.
Tuttavia solo brevi cenni in tema, ché non è possibile approfondire in questa sede…, però, mi chiedo e vi chiedo: ditemi voi chi oltre a Dante ha dato descrizione così alta e sacralizzata del feto così come la si ‘vede’ dal verso 67 e sgg. del canto XXV del Purgatorio; chi mai, oltre a Dante ha saputo marchiare, bollare con così pochi ma efficacissimi tratti il peccato dell’invidia (Purgatorio, canto XIV, 82-84); e del canto XXIX del Paradiso (Beatrice e le sue invettive contro i falsi predicatori e le prediche ‘fatte’ con motti di spirito o sciocche piacevolezze..), che pensarne?!
Ma fermiamoci qui: tralasciamo, amici miei, di accennare anche minimamente… all’Inferno dantesco, ché non sappiamo quando finiremmo… e veniamo ai nostri giorni.
Oggi l’Alighieri, redivivo, sarebbe letteralmente schifato, reietto e considerato appestato sia dalle curie laiche che quelle ecclesiastiche: il suo Poema sacro infatti, che non è solo l’apice della letteratura italiana ma l’apice di tutte le letterature, contiene tale e vasta e “spudorata” serie di violazioni al cosiddetto ‘politicamente corretto’ da scandalizzare e urtare le ‘anime belle’ oggi imperversanti.
Già ci hanno provato tempo fa, ma alcune associazioni internazionali ritenteranno nel pretendere la cancellazione dai programmi scolastici (il funesto ’68 aveva già provveduto…) o la correzione dei suoi presunti contenuti ‘islamofobici, razzisti ed omofobici’.
In realtà non c’è nessun razzismo, ma è vero che il Poema dantesco con riferimento a coloro che sono posti all’Inferno appare offensivo a due ‘partiti’ oggi agguerriti, il mondo musulmano e quello omofilo.
Del resto, da “cattolico integralista” come oggi lo si definisce (ma invero è solo cattolico), Dante pone all’Inferno pure gli eretici, i bestemmiatori, gli adulatori e (pur essendo egli stesso sensibile alle grazie femminili) anche i lussuriosi.
Infine, come non bastasse, condanna con parole di fuoco alcuni Papi del suo tempo mettendoli all’Inferno e stigmatizza altresì la corte pontificia… pur professandosi cattolicissimo, appunto.
Cosa che oggi, in tempo di conformismo imperante ed eretiche deviazioni sarebbe ritenuta inammissibile: ma lui era cattolico, non clericale né papolatra, mentre oggi tantissimi sono tali senza tuttavia professare la vera fede cattolica.
Dante non è solo il più grande dei poeti, ma, essendo davvero cristiano, fu un uomo libero.
E per questo scomodo!
E’ stato celebrato, si fa per dire, poco tempo fa, in Italia, il cosiddetto Dantedì: per carità… una penosa, squallida, abborracciata e inconsistente sequela di ‘iniziative’ tesa a ‘celebrare’ il centenario dantesco.
Signori miei: Dante non necessita di una giornata a lui dedicata.
Siamo noi che necessitiamo di lui. Ogni giorno.


