| Parrocchiale di Seriate |
Cari amici e lettori miei,
di quel che accade e di quel che ci piove in testa in questi tribolati tempi, di ciò che va e viene ai quattro angoli del mondo, dei fatti e dei misfatti che quotidianamente imperversano e a volte persino condizionano il normale scorrere della vita… ebbene, tralasciamo il tutto questa volta… perchè è tempo di richiamare la vostra attenzione su di una mia iniziativa (che avviai 11 anni fa ma che ebbe per esito il classico buco nell’acqua), riferita al fatto che Seriate, la mia città di residenza, potesse e dovesse ricordare mediante opportuna posa di una lapide un tragico e sanguinoso fatto accaduto 77 anni fa: più esattamente nei funesti giorni di fine aprile 1945, cioè durante la ‘radiosa primavera della liberazione’.
Vediamo un po', dunque, andando indietro nel tempo.
La mattina presto del 27 aprile 1945 Seriate fu al centro di furiosi scontri avvenuti tra un’autocolonna di soldati tedeschi e nuclei fascisti, diretti in Valtellina, e un’altra con partigiani provenienti dal lago d’Iseo diretti a Bergamo: neanche si fossero dati appuntamento… ma ignari invece gli uni della presenza degli altri… diedero inizio ad un violento scontro a fuoco che causò alcune vittime (per lo più cittadini incolpevoli che si trovarono, loro malgrado, sotto i colpi incrociati dei contendenti), ma che la vulgata di poi e la storiografia ufficiale dei ‘vincitori’ avrebbe annoverato tra gli ‘eroici partigiani’… eccetera eccetera.
Di una tale vicenda, eccezionale per Seriate poiché l’ultimo fatto d’arme e di sangue che la vide protagonista risaliva addirittura al 1859 quando i garibaldini milanesi Decò e Canetta persero la vita combattendo contro gli austriaci; di una tale vicenda, dicevamo, le faziose narrazioni partigiane ne fecero poi, tramite libercoli e ricostruzioni basate su testimonianze settarie e interessate, un esempio di antifascismo vissuto e interpretato tra i più gettonati della bergamasca: un faro di luce gettato nella ‘buia notte dei tempi di allora’.
Però… però non la raccontano tutta. Meglio, non la raccontano giusta.
Non accennano a ciò che i partigiani, effettivamente, certamente e veramente ‘combinarono’ nel pomeriggio di quello stesso giorno: dissero, raccontarono e poi scrissero e magnificarono nel tempo il fatto che nel pomeriggio di quello stesso 27 aprile, appunto, quale rappresaglia per i fatti del mattino vennero prima ‘scovati’ e poi fucilati direttamente sul sagrato della parrocchiale (!) i ‘famosi’ quattro fascisti che, raccattati poi mediante carretta e portati al cimitero divennero simbolo della inesorabile vendetta e giustizia partigiana.
Tuttavia… tuttavia le cose non stanno proprio così.
Sì, è vero, di certo ci furono quattro esecuzioni, sommarie, sentenze di morte eseguite ferocemente e in spregio di una benchè minima parvenza di legittimazione e motivazione (sentenze di morte, tra l’altro, compiute sul sagrato della chiesa parrocchiale… luogo questo che, se non altro per ragioni giuridiche e di consuetudine avrebbe dovuto godere della ‘extraterritorialità’); ci furono dunque quattro morti, anzi quattro assassinati, che non erano però quattro fascisti, bensì, tenetevi forte!, due militari in divisa grigioverde e, soprattutto, infamia tra le infamie, due donne!
Eccoli i quattro fascisti! Due militari in divisa grigioverde e, ripeto, obbrobrio inaudito, due donne! E’ lo stesso parroco del tempo, d’altra parte, del quale ho fotocopia delle pagine scritte di suo pugno nel Liber mortuorum, ab anno 1918 usque 1968, che, burocraticamente e freddamente annota con grafia minuta: “Nel pomeriggio del giorno 27 furono fucilati dai Patrioti sul Sagrato della Parrocchiale:
- Sacchi Iside di Ugo e Licini Maria, nata a Lodi il 11-3-1916 e domiciliata a Seriate, impiegata, nubile.
- Signorina N.N. (forse di Crema) amica della Sacchi. (In seguito identificata quale Giovanna Vecchi)
- Trimarchi Giuseppe di Domenico e Nanni Speranza nato a S.Teresa di Riva, di anni 25.
- Lucarelli Tarcisio, di anni 22.”
E’ rilevante notare che i partigiani, in tal modo semplicemente indicati e nominati da tutti, il signor parroco-arciprete di Seriate li indica, in questo caso, quali Patrioti: con la P maiuscola, appunto.
Immemore forse dei labari, gagliardetti e vessilli di Regime che, nei vent’anni precedenti, magari obtorto collo, avrà comunque benedetto; quello stesso Regime che, sul finire degli anni ’30, aveva favorito, agevolato e persino cooperato (tramite il Podestà), in tempi brevissimi ove si considerino i mezzi tecnici dell'epoca (1937-1938), alla costruzione del Campanile della parrocchiale seriatese: certamente uno dei più belli, più alti e più svettanti di tutta la bergamasca; quello stesso Regime, ancora, il cui Capo, pochi anni prima, la massima Gerarchia ecclesiastica aveva onorato indicandolo quale ‘Uomo mandato dalla Provvidenza’.
Ma lasciamo perdere e torniamo a noi, anzi ai quattro ‘giustiziati’ di cui sopra.
Due donne, ripeto ancora e non mi stancherò mai, e gli altri due che “all’atto del decesso vestivano la divisa grigioverde”: niente fascisti dunque, o ‘brigate nere’, o appartenenti ad un qualsiasi reparto in armi della Repubblica Sociale Italiana, no: vestivano la divisa grigioverde!
Militari dispersi forse, sperduti e smarriti, probabili disertori che tentavano un rientro, un ritorno a casa e che un tragico destino invece aveva deciso si trovassero a Seriate proprio quel giorno, vale a dire luogo sbagliato nel momento sbagliato. Chissà… tutto poteva essere.
Badate bene, cari lettori miei, che il particolare, la precisazione, il dettaglio che “…gli stessi vestivano la divisa grigioverde” (è la terza volta che lo riporto, ma repetita juvant), non è che me lo sono inventato o sognato: niente affatto.
Questo importantissimo e determinante elemento lo ricavo dalla lettera ufficiale, protocollata e avente ad oggetto “Decessi di militari per eventi bellici”, che il Sindaco di Seriate di allora, Giuseppe Pezzoli, inviò nel novembre 1949 quale risposta al Ministero della Difesa Esercito/Ufficio Ricerche Dispersi e Stato Civile che, tramite le Prefetture, ne reclamava informazioni.
Tutto vero dunque, documentato e inoppugnabile; frutto di ricerche, esami e ricognizioni effettuate presso archivi storici e di deposito comunali, biblioteche e personali inchieste.
Ecco perché, amici miei, con tutti gli elementi, i documenti e le ricostruzioni dei fatti sopra descritti, nel giugno, luglio e agosto del 2011 avanzai pubblica richiesta a chi di dovere e di competenza (con colloqui diretti e tramite tre articoli apparsi sull’Eco di Bergamo), affinchè una semplice lapide, scarna e non accusatrice di nulla e di nessuno, ma solo come memoria e testimonianza, potesse essere posta in un angolo discreto, esterno, della parrocchiale o del suo sagrato.
Una lapide senza emblemi, simboli o segni di riconoscimento, che, incisa, semplicemente ricordasse: ”Qui, in questo luogo, il 27 aprile 1945 caddero, vittime dell’odio fratricida, le seguenti persone:……....................
In memoriam. Una prece.”
Ma non se ne fece nulla. Ecco perché, all’inizio di questo mio scritto ho accennato al classico ‘buco nell’acqua’.
“Non è ancora il momento…” dissero, “non sono ancora maturi i tempi…” aggiunsero, “perché risvegliare polemiche… oramai quello che è stato è stato…” e così via, accompagnando il tutto con pilatesco lavaggio delle mani e consigli sulla opportunità che fosse meglio “lasciar stare il can che dorme”.
Mi ritirai dunque, deluso, e non insistetti, rassegnato forse al fatto che tempi più propizi non mi sarebbe stato dato di viverne.
Tuttavia ora, quasi in obbedienza a quella esortazione insta opportune, importune, insisti cioè in ogni occasione opportuna e non opportuna… eccomi a riprovarci… anche se ci si rende conto che ‘i tempi’, incredibile dictu, oggi sono peggiori rispetto a quelli di undici anni fa.
Qualcuno raccoglierà, speriamo tra non molto tempo, la legittimità, la fondatezza e l’equità, ‘la bontà’ si potrebbe dire di quanto sopra esposto e provvedendovi significherà che l’Italia, finalmente, sarà tornata ad essere Madre dei suoi figli, di tutti i suoi figli.
Mi accorgo, però, che sto fantasticando, sto sognando, sto solo desiderando.
Di colpo mi risveglio e mi riporto alla realtà dei fatti.
Che in argomento poi si riassumono nelle tante e inviperite e cattive reazioni, a mezzo stampa, che direttamente e indirettamente giunsero a commento e a condanna della mia richiesta del 2011.
Solamente una ne voglio riportare, emblematica: “…che fossero giovani donne o soldati in grigioverde, poco importa, il loro comportamento non può che indurre alla definizione di fascisti”.
Si coagula, in tale frase, in tale concetto, in tale ‘giustificazione’ (autore un partigano allora ultra ottuagenario), un grumo di cinismo, di disprezzo e di livore che lascio ad altri di trovarne un precedente.
Della serie: non importa ciò che effettivamente erano, importa il fatto che ‘sembravano’ fascisti!
Alla faccia! Quel “poco importa” buttato lì come inezia, come nonnulla, come particolare di nessun conto è veramente micidiale e rivelatore di uno stato d’animo e di una forma mentis di fronte ai quali ci si rende conto che è veramente arduo farvi fronte: arduo, forse impossibile, ma non inutile.
Semplicemente perché vogliamo che i nostri figli e le generazioni successive conoscano i fatti così come si sono svolti e non come si racconta che si siano svolti.
E allora, se di pacificazione ancora oggi non si deve parlare (sebbene a distanza di 77 anni da quelle vicende), se la pietà, a parole ma non nei fatti è pure ammessa ma non la “confusione” (per cui gli angeli, ovviamente, stan tutti di là e conseguentemente tutti i diavoli son di qua); se è ancora delitto di lesa maestà l’affermare che la ‘democrazia’ è tornata in Italia sulle punte delle baionette alleate e di nessun altro, ebbene, ce ne siamo fatta e ce ne faremo, ancora, una ragione.
Ma nulla e nessuno può impedire, comunque, a noi che ci abbiam tentato ma a cui tutto vien negato, di elevare al Cielo la preghiera consolatrice e propiziatrice che la nostra Fede ci ha insegnato.
A Iside (Albertina) Sacchi dunque; a Giovanna Vecchi; a Trimarchi Giuseppe; a Lucarelli Tarcisio: Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Requiescant in pace. Amen.
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| Iside, Albertina Sacchi |
