19 aprile, 2023

Vae victis

ovverosia… il trionfo della fellonìa


Cari amici e lettori miei,
contrariamente a quanto avviene in Europa, negli Usa e pure in altre parti del mondo, laddove cioè si è fissata e si fa risalire la fine della II guerra mondiale ai primi giorni del maggio e pure agosto 1945, da noi, in Italia, tutto si riassume e si compendia nel ‘fatidico e radioso’ 25 aprile.
Evviva il 25 aprile! Macché San Marco! E’ la liberazione: dal fascismo naturalmente.
E che sia chiusa così: la fine della guerra, la nostra resa, la fine del fascismo, la caccia ai fascisti e la loro eliminazione si chiamano 25 aprile e non parliamone più.
E va bene.
Noi, comunque, a queste drammatiche e tragiche vicende belliche risalenti ormai ad 80 anni fa, al loro compiersi, alla loro datazione, al loro dove e come e quando e perché abbiamo già da tempo ‘offerte e prospettate’ versioni più veritiere, ricerche, ricognizioni e rivisitazioni…, ma tutto è vano e inutile e a volte perfino controproducente e irridente: perché la Storia, signori miei (e da sempre è così), la scrivono i vincitori, anche se a volte cosiddetti.
Perchè il vae victis di Brenno, a noi italiani sconfitti, è stato inflitto come a nessuno mai.
Dunque è così. Non c’è niente da fare. Ne prendemmo atto e ne prendiamo atto. E sopravviveremo.
Però… però c’è sempre un però, un tuttavia, un nondimeno.
Che in argomento, amici e lettori miei, II guerra mondiale, 10 giugno 1940, l’Asse, gli Alleati, gli annessi e connessi, gli antefatti di quell’enorme conflitto, di quell’inferno senza pari (che speriamo più nessuno al mondo debba rivivere malgrado i tempi grami che stiamo vivendo); che in argomento, dicevamo, a volte porta qualcuno, accade, a porsi delle domande e degli interrogativi, dei perché, ora di carattere politico oppure storico, ora di semplice ricerca delle verità vere… quando ci si ribella al dover trangugiare tutto quanto è stato, viene e verrà imposto da coloro che non si chiamano più Brenno, bensì Pensiero unico, Storia scritta dai vincitori, Politicamente corretto, Benpensanti et similia, che si definiscono democratici ma così democratici al punto da dirti che se non la pensi come loro sei fuori, sei escluso, sei emarginato.
Quindi non è certo a costoro e a tutti quelli con il cerebro ammassato che rivolgiamo la domanda, tanto semplice quanto angosciante e tormentata del perché l’Italia abbia perso la guerra: è agli italiani, ancora ce ne sono, che non intendono ingurgitare l’intruglio loro imposto ai quali si prospetta, si fa loro intravvedere, si fa in loro affiorare il dubbio che le cose potevano e dovevano andare diversamente.
E mettiamolo dunque, alla fin fine, il dito nella piaga!
Per non perdere la guerra, oppure anche perdendola ma comunque con onore, sarebbe bastato che la Regia Marina Militare Italiana avesse avuto ai propri vertici (Ammiragli, Contrammiragli, Stati Maggiori e quant’altro), gente che, ovvio, ma ovvio non lo era affatto, avesse a culmine dei propri intendimenti e del proprio agire il combattere il nemico sui mari: avesse a compiere il proprio primo dovere combattendo, sfidando e scontrandosi con le navi del nemico, nella fattispecie la Home Fleet britannica.
E smettiamola a questo punto con la ‘favoletta’ della impreparazione dell’Italia in fatto di armamenti, uomini e mezzi ove rapportati a quelli del nemico: può darsi che l’Esercito e la stessa Aviazione (malgrado tutti i primati di tecnica e di ardimento che caratterizzavano le nostre ‘ali’), denunciassero durante l’evolversi del conflitto insufficienze e scarsità, ma la Marina no, anzi: nel periodo compreso tra il 1925 e il 1940 l’Italia crebbe in prestigio e importanza, affacciandosi per la prima volta nella storia moderna fra le grandi potenze mondiali, facendosi largo a spallate proprio rinnovando totalmente la propria Marina militare.
Tutto ciò risvegliò repentinamente allarmi e apprensioni fra le nazioni che allora detenevano il monopolio della forza economica, politica e militare nel mondo: il fatto più saliente di quel periodo appunto fu la nascita di una grande Marina militare Italiana.
Dal ’25 al ’40 infatti numerose navi antiquate furono ‘rottamate’ e prontamente sostituite da una moderna flotta di corazzate, incrociatori, cacciatorpediniere, fregate, corvette, sommergibili, navi d’appoggio e di servizio e quant’altro.
Tutto questo fu benevolmente ‘attenzionato’ dagli Usa dell’epoca ma risvegliò la preoccupazione dell’Inghilterra e la malevole diffidenza della Francia che non vedevano di buon occhio lo sviluppo della nuova potenza mediterranea italiana, considerando l’avvenimento come una inammissibile intromissione nelle loro posizioni di predominio.
Le condizioni basilari dunque di efficienza ed efficacia, di potenza e dinamismo della nostra Marina militare ad inizio conflitto c’erano tutte, ed erano tali da impensierire molto le Marine nemiche, ma poi… ma poi cominciarono i disastri e i rovesci tra i più incredibili ed inspiegabili tra quelli subiti: l’affondamento delle corazzate nel golfo di Taranto; l’incontrastato bombardamento dal mare di Genova; l’agguato a Matapan; la capitolazione della munitissima Pantelleria e dell’altrettanto fortificata Augusta praticamente senza colpo ferire; lo sterminio della nostra Marina mercantile di trasporto e di appoggio: e fermiamoci qui, per carità di patria è il caso di dire, poiché tale elenco, dolorosissimo solo per il fatto che tutti questi “colare a picco”, questi affondamenti e inabissamenti comportavano il sacrificio, la morte di migliaia e migliaia di tanto valorosi quanto incolpevoli Marinai d’Italia, ebbene, tale elenco, ove analitico, sarebbe assai più lungo.
La corazzata Vittorio Veneto e sommergibili italiani
Dice, forse, alcuno di voi a questo punto: com’era possibile… come poteva accadere… perchè tutto questo?!
Il fatto è, amici e lettori miei, che la Marina inglese prima e statunitense poi sapevano tutto…, sapevano tutto della nostra: quando salpava, dov’era diretta, la rotta da seguire, quali fossero le navi (sole oppure in convoglio), chi le comandava, di quali armamenti fossero dotate, il contingente dell’equipaggio e tanti altri dati e caratteristiche utili per il loro inquadramento, riconoscimento e… siluramento!
E i nostri marinai, i nostri soldati del Mare morivano…!
Ma come facevano gli Alleati a sapere tutto di noi… come facevano all’Ammiragliato inglese… mentre sorseggiavano il thè delle cinque alternandolo ad un buon bicchiere di cherry o di brandy a sapere (e di conseguenza ad istruire ben bene la loro Home Fleet, corsara del Mediterraneo), che l’incrociatore italiano Tizio, il sommergibile Caio e il cacciatorpediniere Sempronio, soli oppure in convoglio erano stati ordinati a questa invece che a quella missione, a questa invece che a quella incursione, a questa invece che a quella operazione? Già. Come facevano?
Bella domanda. Alla quale si rispose poi, anni dopo, divulgando il fatto che il sistema di decrittazione inglese detto Ultra era superiore al nostro e a quello germanico detto Enigma: può darsi che fosse così, ma l’argomento, in effetti ancora secretato e non più oggetto di ricercatori storici indipendenti non consente punti fermi e assoluti.
Dunque… dunque la risposta, quella vera, mai secretata, al contrario impunemente spiattellata e pure rivendicata la leggiamo in un libro, autore l’Ammiraglio italiano Francesco Maugeri, scritto in inglese nel 1948, pubblicato a New York e mai tradotto in Italia, libro intitolato From the ashes of disgrace (Dalle ceneri del disonore), in cui l’inqualificabile, indefinibile e inclassificabile Ammiraglio racconta le vicende belliche della Marina militare Italiana (della sua Marina!) esprimendo simpatie per gli Alleati e avversione alla causa dell’Asse! Niente di meno!
E non dice nulla il fatto che il Contrammiraglio Maugeri (la sua carriera e le sue decorazioni nel frattempo aumentavano), il 4 luglio 1948 venisse decorato dagli americani per servizi resi al governo degli Usa!?
La Legion of merit ottenuta dagli Usa infatti recitava come motivazione: per la condotta eccezionalmente meritevole nel compimento di superiori servizi resi al Governo degli Usa in qualità di Capo del servizio informazioni navali, di Comandante della base navale di La Spezia e di Capo di stato maggiore della Marina militare italiana durante e dopo la seconda guerra mondiale.
E ancora, cosa dire, cosa pensare, come concludere quando nel succitato libro si legge: L’inverno del ’42-’43 trovò molti di noi, che speravamo in un’Italia libera, di fronte a questa dura, amara e dolorosa verità: non ci saremmo mai potuti liberare delle nostre catene se l’Asse fosse stato vittorioso.
E su altra pagina: Più uno amava il suo Paese (già la Patria era scomparsa) più doveva pregare per la sua sconfitta nel campo di battaglia: finire la guerra, non importa come, a qualsiasi costo!
Sempre nello stesso libro, che citiamo per l’ultima volta perché lo schifo, il vomito e il ribrezzo stanno superando ogni limite, il pluridecorato nonché spudorato e venduto Maugeri ancora affermava: l’Ammiragliato britannico aveva abbondanti amici tra i nostri Ammiragli anziani e nello stesso Ministero della Marina.
Già, perché Maugeri evidentemente non era solo: altri suoi “colleghi”, vertici della Regia Marina Militare Italiana, più precisamente Supermarina, “gli reggevano il sacco e gli facevano da palo”, allo scopo, nobili di animo e ispirati da elevati intendimenti com’erano, di perdere la guerra: proprio così, di perdere la guerra, costringendosi anche, quindi, con umiliazione senza pari, a ‘consegnare’ l’11 settembre 1943 la restante flotta militare italiana ormeggiandola tristemente sotto i cannoni della fortezza di Malta.
E qui mi taccio, ritenendo di aver risposto comunque alla domanda del perché l’Italia perse la guerra: mi taccio anche se le cose da dire sarebbero ancora tante, tantissime: e lo faccio innalzando una prece, un grato ricordo e soprattutto un ammirato rispetto verso tutti i Marinai d’Italia, di ogni ordine e grado, tutti incondizionatamente coloro che, Carlo Fecia di Cossato, Capitano di Corvetta in testa, hanno combattuto, hanno sacrificato la loro vita rendendosi luminosi esempi di valore, di coraggio e di onore!
Potevano dunque “le cose” andare diversamente? Nessuno lo sa ne mai lo si saprà.
Rimane solo da sottolineare il fatto, amarissimo, che se è vero come è vero che gli Italiani nella loro plurimillenaria Storia hanno raggiunto vertici e vette e sommità anche solo impensabili e inarrivabili ad altri popoli, ebbene, di contro a volte sono altresì caduti, precipitati, sprofondati in abiezioni, tradimenti e ignominie senza pari.
Del resto, dove se non in Italia poteva accadere l’abominio di Piazzale Loreto?!
Carlo Fecia di Cossato