05 settembre, 2020

L’abito non fa il monaco, però…

Don Michael Zenoni 
Cari amici e lettori miei,
settembre… è tempo di tornare… parafrasando il poeta. 
Spero stiate tutti bene e che, persino, abbiate rinfrancato corpo e spirito con un meritatissimo periodo di riposo sicuramente proficuo. 
Riprendiamo dunque il quotidiano; le vicende, gli accadimenti, il lavoro e gli impegni di ogni giorno, tuttavia tenendoci, ancor più, ben fissi ed ancorati ai principi, agli ideali e ai valori di sempre: e riprendiamo anche le nostre battaglie, il nostro essere una sorta di “militia Christi” contro le mille insidie di ogni provenienza che attentano al nostro essere, al nostro operare e alle nostre convinzioni. 
Stiamo, state ben saldi in sella quindi, perché coloro che ci vogliono disarcionare e abbattere sono ancora, anzi ancora di più in campo e più determinati che mai. 
Dunque, veniamo a noi e riprendiamo il filo…
Domenica 30 agosto scorso, pioggia e temporali in abbondanza, ho avuto modo in veste di cantore tra i cantori (che gaudio la Missa Secunda Pontificalis di Perosi!), di assistere e partecipare, nella piccola ma bellissima chiesa di Novazza di Valgoglio, alla Prima Santa Messa celebrata dal presbitero Don Michael Zenoni, primo prete di questa contrada dopo ben 181 anni. 
Lascio immaginare a voi: una Messa coi fiocchi, luci, suoni, canti, commozione, partecipazione, soprattutto tanta fede… tante tradizioni e consuetudini rinverdite che davvero hanno reso la Prima Messa di Don Michael Zenoni un unicum imperdibile. 
Ma… tuttavia c’è un ma. 
Anzi, “un particolare che ha incuriosito” Alberto Carrara, monsignore (che titolo altezzoso e spagnoleggiante questo però, che un modernista, ecumenista e irenista quale egli è dovrebbe rifiutare… quantomeno schermirsene), il quale, vista una foto del novello prete ha trovato modo di ridire, di polemizzare e di ‘condannare’ il medesimo poiché, incredibile dictu, si presentava in abito talare e addirittura con fascia nera a frange: insomma, l’abito sacerdotale di foggia romana in uso – in illo tempore – anche nella Diocesi di Bergamo. 
Che sfacciato! Sissignori: don Michael Zenoni veste l’abito talare, cioè l’abito caratteristico da secoli e secoli del clero secolare cattolico, simbolo dello stato sacerdotale. 
E allora vai di sdegno, di malcelata stizza, vai di Facebook insomma (e ti pareva…), con il quale il monsignore, ricorrendo alla sua ben nota capacità di irrisione, scherno e dileggio appioppa una ‘bella’ reprimenda al presbitero Zenoni accusandolo di “eccesso di solennità clericale” (!), in primis, ma pure di “mancata affermazione di fraternità” (sacerdotale) e di “ardore nella distinzione” (?!). 
E scusate se è poco.. 
Ma lasciamo andare ora l’indispettito e corrucciato monsignore… che tra l’essere Cappellano di Sua santità, Canonico del Capitolo cattedrale di Bergamo, Delegato vescovile per la pastorale della cultura e delle comunicazioni sociali, già Direttore del Settimanale on-line della Curia bergamasca, e altre mille ‘cose’ (sarà anche Pastore d’anime?), probabilmente avrà già dimenticato don Zenoni e la sua talare…, perché, invece, cari amici e lettori miei, è proprio su tale simbolo dello stato sacerdotale che desidero un poco soffermarmi. 
L’uso della tonaca (talare) infatti è tradizione antichissima: dimenticata e persino disprezzata in questi decenni vaticanosecondisti è, in effetti, testimonianza di consacrazione e appartenenza a Dio e non al mondo. 
Il prete che veste in modo secolare infatti è uno tra i tanti; chi porta la talare no: è un sacerdote e non può quindi rimanere neutrale… poiché l’abito stesso lo denuncia. 
Non può rimanere nell’anonimato, come una qualunque persona: quando a livello esteriore nulla dice ‘cosa’ si è in effetti vuol dire che non c’è nessun impegno. Quando si disprezza ‘l’uniforme’ insomma, si disprezza la categoria o la classe che questa rappresenta. 
La vista della talare incoraggia chi è in buoni rapporti con Dio, avvisa chi ha la coscienza ‘pesante’, fa pentire chi vive lontano da Dio. 
I rapporti dell’anima con Dio non sono riservati esclusivamente al tempio. Moltissima gente oggi non va più in chiesa: quale modo migliore per portare il messaggio di Cristo a queste persone di un sacerdote consacrato che indossa la talare? 
I fedeli lamentano la desacralizzazione e i suoi effetti devastanti: i seminari vuoti e la mancanza di vocazioni soprattutto. 
E ancora: chi opera quale sacerdote di Cristo deve poter essere subito identificato come tale, a beneficio dei fedeli stessi e per svolgere meglio la sua missione. 
I modernisti vogliono farci credere che la talare sia un ostacolo all’ingresso del messaggio divino nel mondo: in realtà, sopprimendola, loro stessi eliminano il messaggio e le ‘credenziali’ che lo sorreggono. 
Il prestigio della talare si era formato e accumulato con il tempo, l’esempio, il sacrificio e l’abnegazione: ora ci si libera della medesima quale ‘ferrovecchio’, fuori moda, addirittura quale simbolo di una Chiesa che si vuol dimenticare e far dimenticare. 
Molto altro si potrebbe dire attorno alla ‘tonaca’ dei preti, a quella talare sacerdotale della quale San Francesco d’Assisi affermò che “porta con sé il sigillo della santità”; a quella talare che, per non aver voluto togliersela, il seminarista quattordicenne Rolando Rivi sacrificò addirittura la vita… assassinato nella primavera del 1945 dall’odium fidei dei partigiani comunisti! 
Altro si potrebbe dire ma fermiamoci qui. E’ più che sufficiente, ci pare. 
Riprendiamo quindi, nel concludere, il più che titolato monsignore di cui sopra, Alberto Carrara, e rifacciamoci alle sue divertite ipotesi (rigorosamente Facebook), ai suoi giochi di parole, quasi fossero freddure, laddove delinea ipotetiche equivalenze tra preti seri e poco seri, tra preti abbastanza seri e serissimi, appaiando il loro essere tali con il loro abbigliamento ora laico, ora con la talare, ora in clergyman, ora con la talare più la fascia: i suoi accostamenti non reggono, appunto; le sue connessioni sono strampalate, appunto ancora, proprio perché sono facezie, un ‘divertissement’, un ‘calembour’ per dirla alla francese. 
Piuttosto, considerata la sua indubbia e vasta influenza che peserà notevolmente nella Curia diocesana bergamasca, veda, il monsignore, se possibile, sempre che lo voglia, veda di proibire, di evitare che a pochi minuti prima dell’inizio della celebrazione della Messa (non importa dove, capita ovunque), arrivi, trafelato (perché sino a poco prima è stato impegnatissimo quale ‘assistente sociale’ della commissione parrocchiale dell’accoglienza…), arrivi, trafelato, il Don di turno che, pantaloncini, T-shirt alla moda, sandali infradito… si butti qualcosa di ‘sacro’ addosso e poi… e poi sale all’Altare! 
L’abito non fa il monaco, dicono. Sarà… però aiuta assai!

Rolando Rivi


3 commenti:

Unknown ha detto...

Meno male che Dio non cambia , è sempre lo Stesso , altrimenti poveri uomini dove finirebbero

Franco Tentorio ha detto...

Complimenti e grazie.

Giovanni Deppi ha detto...

Grande Luigi! Un mito come sempre!